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Dedicato a chi ama la verità
Premessa
Questa nota divulgativa è stata scritta in un linguaggio accessibile per le persone indaffarate che non hanno molto tempo da dedicare alla lettura del Nuovo Testamento (una raccolta di 27 libri considerati, dalla Chiesa Cattolica e dalle principali confessioni cristiane, divinamente ispirati e perciò normativi per la fede, in quanto reputati “depositi” del genuino insegnamento di Gesù): quindi citerò spesso i brani neotestamentari per esteso, senza limitarmi a indicare libro, capitolo e versetto, in modo che ognuno possa formarsi una propria opinione sui passi citati. Ho aggiunto solo qualche spiegazione per i lettori che non hanno dimestichezza con questi testi. Desidero che siano le fonti a parlare.
Il testo biblico di cui mi avvarrò nelle citazioni è quello ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, pubblicato nel 2008 dalla Libreria Editrice Vaticana e noto come Bibbia CEI 2008 (malgrado alcune traduzioni siano discutibili), evitando di citare, per quanto possibile, il testo “originale” greco (in realtà di “originale” non abbiamo nulla: sono rimaste solo copie manoscritte di copie manoscritte, mai uguali fra loro nel testo e talora discordanti anche su punti fondamentali: v. il paragrafo intitolato “Che cos’è la critica testuale?” nel Post L’Ascensione di Gesù), perché il greco antico è conosciuto in maniera adeguata solo da poche persone.
L’annuncio della Parusia nel NT
Il ritorno glorioso di Gesù, denominato dai biblisti “parusia” (dal vocabolo greco “παρουσία”, che significa in senso proprio “presenza”, intesa anche come conseguenza di un arrivo: in questo caso è tradotto frequentemente con “venuta”), è annunciato nel Nuovo Testamento come imminente e grandioso, sulle nubi del cielo, con gli angeli e una grande tromba: v. Mt 24, 30-31; Mc 13, 26-27; Lc 21, 27. Su queste pericopi evangeliche tornerò in seguito.
Di questa imminente discesa dal cielo al suono della tromba ci parla
anche la Prima Lettera ai Tessalonicesi, attribuita a Paolo di Tarso, nel
capitolo 4, ai versetti 15-18, in cui si preannuncia anche il
cosiddetto “rapimento della Chiesa”: “15Sulla
parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che
saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna
precedenza su quelli che sono morti. 16Perché il
Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della
tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in
Cristo; 17quindi noi, che viviamo e che saremo ancora
in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro
al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore. 18Confortatevi dunque a vicenda con queste parole”
(1 Ts 4, 15-18; cfr. Mt 24, 30-31. 40-41; Mc 13, 26-27; Lc 17, 34-35). Notate che Paolo crede, “sulla
parola del Signore” (si
basa quindi su una profezia attribuita a Gesù: alcuni detti autentici di Gesù, denominati agrapha, sono conservati in fonti diverse dai vangeli canonici), che egli stesso e la
comunità
di Tessalonica, a cui scrive, sarebbero stati ancora in vita quando il
Signore Gesù sarebbe tornato. I tessalonicesi convertiti da Paolo
temevano che alcuni di loro, che erano morti prima dell'atteso ritorno
del Signore, sarebbero stati esclusi dal regno promesso. Ciò significa
che Paolo, allorché fondò la comunità cristiana di Tessalonica, aveva detto loro che
Gesù sarebbe ritornato entro pochissimo tempo, senza nemmeno prendere
in considerazione l'ipotesi che alcuni nel frattempo sarebbero morti: per questo i cristiani di Tessalonica inizialmente si aspettavano che il Signore tornasse mentre erano ancora tutti in vita
e in seguito cominciarono a preoccuparsi e a rattristarsi (cfr. 1 Ts 4,
13), quando alcuni convertiti morirono prima di aver visto il ritorno di
Gesù. Gli studiosi ritengono che la Prima
Lettera ai Tessalonicesi sia la più antica fra quelle attribuite a Paolo
di Tarso e il più antico scritto del Nuovo Testamento: infatti, quasi
sicuramente, fu scritta intorno alla metà del I secolo d.C.
La Seconda Lettera ai Tessalonicesi si discosta alquanto dalla Prima,
particolarmente riguardo alla seconda venuta del Signore Gesù e ai suoi
prodromi, perché non è stata scritta da Paolo di Tarso, ma da uno
sconosciuto cristiano dell'età subapostolica ― tra la fine del I secolo d.C. e l'inizio del II ―, che si propone di fugare le inquietudini provocate, nei cristiani del suo tempo, dalla trepidante attesa della parusia (desiderata ardentemente e sempre procastinata) e che si avvale del procedimento pseudoepigrafico per dare maggior
attendibilità e autorevolezza alle proprie considerazioni e ai propri
ammonimenti (v. Simon Légasse, Paolo apostolo. Biografia critica, trad. it. di G. Casoli, Città Nuova Editrice, Roma 1994, p. 168).
Nella Prima Lettera ai Corinzi, attribuita anch'essa a Paolo di Tarso, si parla della trasformazione (correlata al suddetto “rapimento celeste”), al suono dell'ultima tromba, che, secondo Paolo, si sarebbe verificata prima che i fedeli allora in vita fossero tutti morti: “51Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, 52in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Essa infatti suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. 53È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d’immortalità” (1 Cor 15, 51-53; cfr. 2 Cor 5, 2-3; Fil 3, 20-21).
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Correggio, Cristo trionfante. |
L’annuncio del regno di Dio e il successo del cristianesimo
Alla luce di quest'attesa spasmodica dell'imminente instaurazione del regno di Dio nella sua pienezza, vanno lette alcune esortazioni, altrimenti di ben poco valore, che troviamo nelle lettere paoline e nelle cosiddette lettere “cattoliche” (sette epistole sicuramente non redatte da Paolo di Tarso e, per lo più, non indirizzate a comunità particolari), come quelle, ad esempio, che leggiamo in 1 Cor 7, 29-31: “29Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; 30quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; 31quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!” (1 Cor 7, 29-31; cfr. 1 Cor 10, 11). Anche il consiglio di “non toccare donna” (1 Cor 7, 1; v. anche 1 Cor 7, 8. 25-28) e quello di farsi “eunuchi per il regno dei cieli” (Mt 19, 12) furono formulati in vista dell'imminente venuta del regno di Dio. L'espressione matteana “regno dei cieli” non è nient'altro che una variante terminologica di quella “regno di Dio”: infatti è la traduzione dell'ebraico “Makult Shamayim”, impiegato nel giudaismo del Secondo Tempio per evitare di pronunciare il nome sacro di Yahweh, e non significa affatto che il regno di Dio sia una realtà esclusivamente celeste in contrapposizione a quella terrestre.
Similmente vanno interpretate, come insegnava il valente biblista e premio Nobel Albert Schweitzer, le cosiddette beatitudini evangeliche (e il loro sconcertante rovesciamento dei valori comunemente accettati, molto più radicale di quello prospettato nell'AT, le cui reminiscenze sono comunque evidenti), delle quali Luca ci fornisce la formulazione più antica e forse, per le prime tre (la quarta, che leggiamo in Lc 6, 22-23, proviene probabilmente dalla Chiesa primitiva, vittima di persecuzioni), gesuana (Lc 6, 20-21), con i corrispondenti quattro guai (Lc 6, 24-26):
“20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
perché vostro è il regno di Dio.
21Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
24Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
25Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti” (Lc 6, 20-26).
Il vangelo di Matteo, rifacendosi, come gli altri sinottici, a immaginifiche rappresentazioni veterotestamentarie (v. soprattutto Is 13, 9-10; 34, 4; Ger 4, 23-26; Ez 32, 7-8; Dn 7, 13-14; Gl 2, 1-2. 10; 3, 4; 4, 15; Am 8, 9; Mi 1, 3-4), ci fa sapere che, dopo la grande tribolazione e alcuni grandiosi eventi cosmici, comparirà il segno del Figlio dell'uomo, che manderà i suoi angeli con una grande tromba:
“29Subito dopo la tribolazione di quei giorni,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze dei cieli saranno sconvolte.
Analogamente il vangelo di Luca ci rivela:
“25Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra.
Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
27Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria” (Lc 21, 25-27).
Il più antico dei vangeli sinottici, quello di Marco, ci prospetta uno scenario simile a quello dei due vangeli citati in precedenza:
“24In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
25le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo” (Mc 13, 24-27).
La Parusia è annunciata come imminente
Nei vangeli attribuiti a Matteo, Marco e Luca (vi comunico, en passant, che, secondo gli studiosi più preparati, nessuna paternità dei vangeli è storicamente certa), Gesù pronuncia questa frase molto significativa per il nostro breve excursus sull'imminenza della parusia: “34In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga” (Mt 24, 34; Mc 13, 30; Lc 21, 32).
Per comprendere che cosa i vangeli intendano per “tutto questo” (nel testo greco “πάντα ταῦτα”: letteralmente “tutte queste cose”), è necessario leggere i versetti precedenti.
Alcuni commentatori pretendono infondatamente che Gesù si riferisse soltanto alla distruzione del secondo tempio di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C. (quantunque potrebbe trattarsi, con buona probabilità, di un vaticinium ex eventu, cioè di una predizione formulata dopo che il fatto si era verificato, perché la redazione dei vangeli fu portata a termine dopo la distruzione di Gerusalemme ad opera delle truppe romane guidate dal comandante Tito, futuro imperatore), prendendo
arbitrariamente in considerazione solo i primi due versetti del
capitolo 24 di Matteo (v. anche Mc 13, 1-2; Lc 21, 5-6), malgrado qualsiasi lettore del vangelo possa
agevolmente comprendere che, per interpretare correttamente Mt 24, 34, è
necessario tenere conto di tutti i versetti che nel capitolo 24
precedono il versetto 34 (sebbene alcune frasi siano state aggiunte dalla Chiesa primitiva per incoraggiare l'attività missionaria, osteggiata sia da ebrei che da pagani, come ad esempio Mt 24, 14, o per contrastare le tensioni interne causate dalla comparsa di falsi Messia e falsi profeti, come indicato da Mt 24, 24): in questo capitolo Gesù, dopo aver predetto la distruzione del tempio, preannuncia l'“inizio dei dolori”, la cosiddetta “grande tribolazione” e, infine, la venuta gloriosa del Figlio dell'uomo e la fine del mondo attuale, ovverosia dell'era presente (la Bibbia CEI 2008 traduce sovente con “mondo” il lessema greco “αἰών”, da cui deriva il termine italiano “eone”, anche laddove letteralmente significa “era” o “epoca”).
Quindi costituisce un errore inaccettabile riferire Mt 24, 34 alla
sola distruzione del tempio di Gerusalemme, nel penoso tentativo di
rendere meno imbarazzanti queste profezie di Gesù; tenete presente che in questi versetti Gesù sta rispondendo a due domande puntuali e inequivocabili dei suoi discepoli: “Di’ a
noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e
della fine del mondo” (Mt 24, 3). Quanto ho fatto
notare per questo capitolo di Matteo vale anche per le pericopi parallele
degli altri due sinottici, e cioè per il capitolo 13 del vangelo di
Marco e per il capitolo 21 del vangelo di Luca.
né lutto né lamento né affanno,
perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4; cfr. Ap 7, 16-17; Is 25, 8; 65, 19b); fede e speranza sono interdipendenti, in quanto la speranza si fonda sulla fede (v. Rm 5, 2; 8, 24-25; Ef 1, 13-14 e soprattutto Eb 11, 1 ss.), che, a sua volta, è sostenuta e alimentata dalla speranza (cfr. Rm 8, 24-25; 15, 13; Tt 3, 6-7; Eb 10, 23; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 162).
Non immortalità dell’anima ma risurrezione dei corpi
Le speculazioni teologiche e le credenze della pietà popolare (sempre prodiga di pie fantasie) sul Paradiso celeste si sono sviluppate in modo assai pittoresco e stravagante principalmente perché all'escatologia prettamente neotestamentaria, caratterizzata dalla concreta speranza nell'imminente parusia con la risurrezione dei morti e la “nuova” creazione (v. Ap 21-22; 2 Pt 3, 13 e cfr. Is 65, 17; 66, 22; Mt 19, 28; At 3, 21; Rm 8, 18-23; 1 Cor 15, 22-28; 2 Cor 5, 17; Ef 1, 10; Eb 6, 5; 13, 14; 1 Gv 3, 2), è subentrata la fede nell'aldilà (che ha in parte compensato la delusione per la mancata realizzazione del regno di Dio), con la connessa dottrina dell'immortalità dell'anima (di derivazione ellenistica e di cui troviamo traccia, oltre che nel deuterocanonico Libro della Sapienza citato sopra, anche nelle parole probabilmente non gesuane di Lc 16, 23; 23, 43, sebbene in questi versetti non si parli espressamente di “ψυχή”, cioè di anima: cfr. il Post intitolato “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”), secondo la quale l'anima dei defunti sarebbe giudicata immediatamente dopo la morte: in base a questa concezione extrabiblica, si cominciò a credere che l'anima immortale, se trovata colpevole da Dio, sia sottoposta alla punizione subito dopo la morte del corpo, perché all'escatologia neotestamentaria si è sostituita la metafisica dell'aldilà, in conseguenza della quale il luogo della punizione finale e futura è stato trasformato, alterando l'insegnamento biblico, in luogo di castigo situato nell'aldilà, nel cosiddetto Inferno, le cui pene, nel corso della storia del cristianesimo (che, se non lo si condidera, per dirla con sant'Agostino, la “vera religione”, è almeno una “pia fraus”, una “pia frode”: v. Arthur Schopenhauer, Parerga und Paralipomena, II, 175), sono state descritte in modo molto fantasioso ― spesso sadico e ridicolo ― e totalmente incompatibile con l'autentico messaggio neotestamentario. Il ritardo della parusia ha innescato un processo (ancora non conclusosi) di crescente de-escatologizzazione (cioè di eliminazione del carattere escatologico) dell'annuncio evangelico, che ha determinato il graduale sovrapporsi della credenza nell'immortalità dell'anima alla fede nella risurrezione del proprio corpo: la delusione per il mancato avvento del regno di Dio, atteso come imminente, determinò una vera e propria rielaborazione delle attese e quindi della fede stessa, che pose le basi dell'odierna dottrina cattolica. Contrariamente a quanto molti credono perché fuorviati da traduzioni e interpretazioni non fedeli al testo biblico, nel Nuovo Testamento (che, invero, non presenta mai un'antropologia sistematica e del tutto coerente) l'anima non costituisce l'elemento incorporeo ― essenziale e immortale ― dell'essere umano, come in alcuni filosofi greci pagani (benché l'influsso della cultura greca sul NT sia notevole), ma rappresenta, oltre al principio vitale che si manifesta nel respiro e che vivifica il corpo (correttamente la Bibbia CEI 2008, in molti versetti del NT, traduce “ψυχή” con “vita”), anche l'ambito esistenziale entro cui si decidono morte e vita, perdizione e salvezza, una salvezza che i primi cristiani identificavano con la partecipazione al promesso regno di Dio e che quindi deve essere compresa e contestualizzata nella prospettiva escatologica della risurrezione dei corpi e della nuova vita, vale a dire della nuova corporeità dei fedeli risorti (secondo la Bibbia, risorgeranno anche gli “ingiusti”, ma solo per la loro condanna: v. Dn 12, 2; Mt 25, 46; Gv 5, 29; At 24, 15) e di quelli ancora in vita al momento della parusia (v. 1 Cor 15, 23. 42-55 e cfr. Rm 6, 8; 8, 11. 18), che, secondo le attese, avrebbe comportato l'instaurazione piena, perfetta e definitiva del regno di Dio, in cui avrebbe trovato finalmente compimento il mistero della salvezza e Dio sarebbe stato tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 28). Nella Bibbia non troviamo nessun dualismo tra il corpo mortale e l'anima immortale e nessun riferimento plausibile alla riunione di quest'ultima con il corpo “trasformato” (v. 1 Cor 15, 51 ss.), sul modello di quello del Cristo risorto (cfr. Rm 6, 5; 8, 11; 1 Cor 15, 20-28), al momento della risurrezione finale dei morti (come invece leggiamo ai nn. 366, 997, 1005 e 1016 del Catechismo della Chiesa Cattolica), in merito alla quale Paolo di Tarso annuncia che il corpo “seminato nella corruzione” (1 Cor 15, 42) risorgerà quale “corpo spirituale” (1 Cor 15, 44), rivestito d'incorruttibilità e immortalità (v. 1 Cor 15, 53-54), oltre che glorificato (v. 1 Cor 15, 43; Fil 3, 21), anche se presenterà una certa continuità con quello di prima, come una pianta con il seme da cui è germinata (v. 1 Cor 15, 35 ss.). Gli accenni, sempre vaghi e ambigui, all'Inferno, che troviamo nei vangeli e nell'Apocalisse, riflettono il desiderio di rivalsa delle prime comunità cristiane, le quali, di fronte ai fallimenti e alle persecuzioni, alla tragica distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. e a un ambiente sociale profondamente ostile, aspiravano non solo a una significativa ricompensa futura per loro, ma anche a una crudele punizione per i nemici: nell'immaginare uno scenario del genere, queste comunità subivano l'influenza dell'apocalittica ebraica, dell'insegnamento essenico e dei sinistri racconti riguardanti una piccola valle posta sul lato meridionale del monte Sion, adibita a discarica quando Gesù era in vita, denominata Geènna, in cui precedentemente si offrivano sacrifici umani al dio Moloch, che in seguito, nella mitologia cristiana, è stato trasformato, come altre antiche divinità, in uno dei demòni.
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Battistero degli Ariani a Ravenna (particolare), Etimasia: rappresenta anche la speranza che Gesù, al suo ritorno, si assida simbolicamente sul trono "preparato" e lasciato vuoto. |
Giustificazioni del ritardo poco convincenti
Nella Seconda Lettera di Pietro (la cui paternità, fin dai tempi antichi, è sempre stata revocata in dubbio, tanto che oggi è considerata pseudoepigrafica), al capitolo 3, lo sconosciuto autore tenta di giustificare il ritardo della seconda venuta di Gesù con il fatto che il Signore vuole che tutti possano pentirsi e che nessuno si perda: “9Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. 10Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta” (2 Pt 3, 9-10; cfr. At 3, 19-21).
L'affermazione che leggiamo, in questa stessa lettera, al v. 8 del capitolo 3, secondo cui “8[...] davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni sono come un solo giorno” (2 Pt 3, 8; cfr. Sal 90, 4), non fa venir meno l'inattendibilità delle predizioni neotestamentarie in merito all'imminenza della venuta gloriosa del Figlio dell'uomo e della fine del mondo attuale, perchè si tratta di predizioni rivolte agli uomini, non a Dio. In diversi passi della Bibbia il numero mille sta a indicare una quantità indefinitamente grande: v., ad esempio, 1 Re 3, 4; 11, 3 (in cui si racconta delle 700 mogli e delle 300 concubine del re Salomone); Sal 90, 4; 91, 7; Dn 5, 1; Ap 20, 1-8.
Il fatto che in alcuni versetti del Nuovo Testamento il ritorno di Gesù sia paragonato alla venuta di un ladro (v. Mt 24, 43-44; Lc 12, 39-40; 1 Ts 5, 2; 2 Pt 3, 10; Ap 3, 3; 16, 15) non significa assolutamente che era previsto un suo ritorno invisibile o segreto, ma indica che la sua seconda venuta sarà improvvisa ed inaspettata e rappresenta un invito alla vigilanza (cfr. Mt 24, 27. 36-44; 25, 1-13; Mc 13, 32-37; Lc 17, 24). Il vangelo secondo Matteo fa pronunciare a Gesù la famosa frase: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25, 13; v. anche Mt 24, 36. 42. 44; Mc 13, 33; Lc 12, 40): notate che Gesù, nei vangeli sinottici, chiede di vegliare ai presenti che lo stanno ascoltando perché la venuta del Figlio dell'uomo riguardava espressamente la loro generazione (v. i citati Mt 24, 34; Mc 13, 30; Lc 21, 32), altrimenti non avrebbe senso l'imperativo “vegliate” (nel testo greco di Mt 25, 13 troviamo “γρηγορεῖτε”, che è la seconda persona plurale dell'imperativo presente del verbo “γρηγορέω”) rivolto ai contemporanei di Gesù; bisognava tenere desta la vigilanza perché, se il periodo di tempo (“questa generazione”) era conosciuto anche dal Figlio e dai suoi discepoli, il giorno e l'ora, invece, vale a dire il momento preciso, erano conosciuti, secondo Mc 13, 32 e Mt 24, 36, solo dal Padre (alla luce delle ricerche attuali, non ha più senso ipotizzare una “restrizione mentale” da parte di Gesù).
Nella nostra epoca, sempre con l'intenzione di giustificare la
previsione fallace riguardante l'imminenza della parusia, alcuni
studiosi minoritari hanno tentato di attribuire al termine greco “γενεά” (tradotto in italiano dalla Bibbia CEI 2008 con “generazione”) un significato completamente falso, pretendendo che in questo contesto significasse “era” o “epoca”: in verità il lessema greco “γενεά” sta qui a indicare il periodo di tempo effettivamente occupato da una generazione umana (v. TDNT - 1: 662,114 e Numero Strong: G1074. TDNT è un acronimo che significa Theological Dictionary of the New Testament e il Numero Strong fa riferimento a un'opera di James Strong intitolata originariamente The Exhaustive Concordance of the Bible); per indicare “età” o “era” veniva di solito impiegato, come ho scritto sopra, il termine “αἰών” (v. TDNT - 1: 197,31 e Numero Strong: G165).
D'altronde altri versetti dei vangeli non lasciano dubbi sul
significato del vocabolo “γενεά” (“generazione”). Infatti, nel capitolo 16 del
vangelo di Matteo, si legge che Gesù pronuncia questa solenne profezia: “27Perché
il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi
angeli, e allora renderà a
ciascuno secondo le sue azioni. 28In
verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno,
prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno” (Mt 16, 27-28). Gli fanno eco i versetti paralleli di Marco e Luca (Mc 9, 1; Lc 9, 27).
Gesù, quando invia i dodici apostoli in missione, a predicare che il regno di Dio è vicino (v. Mt 10, 7), profetizza che non
avranno finito di percorrere le città di Israele, prima che il Figlio
dell'uomo venga: “23Quando sarete
perseguitati in una città, fuggite in un’altra; in verità io vi dico:
non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il
Figlio dell’uomo” (Mt 10, 23).
Di certo, come insegna
il Libro del Deuteronomio, il non avverarsi di una previsione o di una profezia dimostra che esse
non sono autentiche e che sicuramente non vengono da Dio: “21Forse
potresti dire nel tuo cuore: «Come riconosceremo la parola che il Signore non
ha detto?». 22Quando il profeta parlerà in nome del Signore e
la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il
Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui”
(Dt 18, 21-22).
L’ausilio della credenza nella Parusia imminente
La credenza nel prossimo ritorno di Gesù aiutava i cristiani a essere perseveranti nelle virtù: in fondo, se la seconda venuta di Gesù fosse stata davvero imminente, si sarebbe trattato solo di resistere ancora un poco, perché mancava pochissimo tempo al suo repentino ritorno: “34State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; 35come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. 36Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo” (Lc 21, 34-36; cfr. Mt 25, 13; Lc 17, 24; 1 Ts 5, 1-11; Fil 1, 10).
Paolo di Tarso, scrivendo ai fedeli di Roma, si dice convinto che la
salvezza dei cristiani è più vicina di quanto lo fosse quando essi
diventarono credenti e li esorta a indossare le armi della luce: “11E
questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi
dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando
diventammo credenti. 12La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13Comportiamoci
onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra
lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. 14Rivestitevi
invece del Signore Gesù Cristo e non lasciatevi prendere dai desideri della
carne” (Rm 13, 11-14; cfr. 1 Ts 5, 23-24; 1 Tm 6, 14; Tt 2, 11-13; 2 Pt 3, 14; Gd 24).
Anche nella Lettera agli Ebrei, che ormai nessun biblista considera un'opera di Paolo, i fedeli sono esortati a non disertare le riunioni, perché essi vedono avvicinarsi il giorno del Signore: “25Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma esortiamoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno del Signore” (Eb 10, 25).
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Michelangelo, Il Giudizio Universale (particolare): angeli "tubicini" e angeli "bibliofori". |
È giunta l’ultima ora e il tempo è vicino
Giovanni (o, per essere più precisi, la comunità giovannea), nella sua Prima Lettera, desume che è giunta l'ultima ora ― “ultima ora” ovviamente per il tempo in cui fu scritta la lettera, vale a dire la fine del I secolo d.C. ― dal fatto che molti anticristi sono già venuti (sic): “18Figlioli, è giunta l’ultima ora. Come avete sentito dire che l’anticristo deve venire, di fatto molti anticristi sono già venuti. Da questo conosciamo che è l’ultima ora” (1 Gv 2, 18).
anche quelli che lo trafissero,
e per lui tutte le tribù della terra
si batteranno il petto.
Sì, Amen!” (Ap 1, 7; cfr. Dn 7, 13; Zc 12, 10).
Nella Bibbia l'immagine della nube accompagna spesso le manifestazioni divine.
Dettando a Giovanni ciò che deve scrivere all'angelo della Chiesa di Filadelfia, Gesù Cristo annuncia che viene presto: “11Vengo presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona” (Ap 3, 11).
Nel capitolo 14 dell'Apocalisse, l'autore racconta la visione di un
angelo che proclama a gran voce che è giunta l'ora del giudizio di Dio: “6E
vidi un altro angelo che, volando nell’alto del cielo, recava un
vangelo eterno da annunciare agli abitanti della terra e ad ogni
nazione, tribù, lingua e popolo. 7Egli diceva a gran voce:
«Temete Dio e dategli gloria,
perché è giunta l’ora del suo giudizio.
Adorate colui che ha fatto il cielo e la terra,
il mare e le sorgenti delle acque»” (Ap 14, 6-7).
Il Libro
dell'Apocalisse, ai versetti 4-6 del capitolo 20, ci racconta la visione di un
mitico regno di mille anni, che fa seguito a una prima risurrezione riservata
ai soli giusti (“gli altri morti invece”,
secondo Ap 20, 5, “non tornarono in vita
fino al compimento dei mille anni”) e che risponde alle speranze
di liberazione dal male e di giustizia divina, alimentate dalle
comunità cristiane del tempo, le quali, a causa delle persecuzioni,
sperimentavano un profondo malessere: una sorta di regno messianico intermedio
(è improprio usare l'espressione “parusia intermedia” in riferimento a esso),
che precede
il secondo combattimento escatologico con la sconfitta definitiva di
Satana e dei popoli da lui sedotti (v. Ap 20, 7-10), il giudizio finale con la seconda risurrezione (v. Ap 20, 11-15), che
non riguarda i santi che hanno ripreso vita nella prima risurrezione, e infine l'instaurazione del regno di Dio nella sua pienezza (v. Ap 21-22), e che costituisce la speciale ricompensa per
coloro che hanno testimoniato Gesù e la parola di Dio fino a perdere la vita per questo. A tale regno temporaneo di mille anni, che ha la stessa durata della prigionia
di Satana (v. Ap 20, 2), partecipano, oltre ai martiri propriamente detti, anche
gli altri fedeli cristiani che non hanno adorato la bestia e la sua immagine e non ne hanno ricevuto il marchio (v. Ap 20, 4). Prescindendo dalle
interpretazioni spiritualistiche (sempre molto opinabili) della suddetta visione,
possiamo affermare con sicurezza che storicamente questo regno di mille anni,
così come immaginato dal redattore dei versetti citati, non si è mai
realizzato, anche se le istanze millenaristiche continueranno a sussistere
finché nel mondo esisterà l'infelicità.
Secondo il Nuovo Testamento, i “salvati” (di cui fanno parte i 144.000 provenienti da ogni tribù dei figli d'Israele e segnati con il sigillo del Dio vivente e una moltitudine immensa di ogni nazione, tribù, popolo e lingua: cfr. Ap 7, 4. 9; 14, 1), gli “eletti”, che entreranno nella nuova Gerusalemme, sono i predestinati che sono stati scelti “fin dalla fondazione del mondo” (Ap 13, 8; 17, 8) e i cui nomi si trovano scritti nel libro della vita: al momento del giudizio finale, l'intera umanità sarà suddivisa tra coloro che sono scritti nel libro della vita e coloro che non vi sono scritti (v. Ap 3, 5; 13, 8; 17, 8; 20, 12. 15; 21, 27; cfr. Es 32, 32-33; Sal 69, 29; 139, 16; Is 4, 3; Dn 7, 10; 12, 1; Ml 3, 16; Lc 10, 20; At 13, 48; Fil 4, 3); chi non risulterà scritto nel libro della vita sarà gettato nello stagno di fuoco (v. Ap 20, 14-15: “Questa è la seconda morte”, su cui v. anche Ap 2, 11; 20, 6. 14; 21, 8): secondo Sal 69, 29 ed Es 32, 33, il Signore può anche cancellare alcuni nomi da questo libro. La traduzione di Ap 13, 8 che troviamo nella Bibbia CEI 2008 è palesemente errata (quantunque sia più consona all'insegnamento della Chiesa Cattolica sulla predestinazione; in merito a quest'ultima, cfr. anche Mt 20, 23; 25, 34; Rm 8, 29-33; 9, 14-23; Ef 1, 4-12; 2 Ts 2, 13), perché riferisce il complemento di tempo “fin dalla fondazione del mondo” all'immolazione dell'Agnello (creando così un anacronismo assai discutibile dal punto di vista teologico): sono, invece, più fedeli al senso del testo greco la traduzione della Bibbia CEI 1974: “L’adorarono [si riferisce alla bestia] tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immolato”, e, soprattutto, quella che leggiamo in La Bibbia, nuovissima versione dai testi originali, XI edizione, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1995, alla p. 1894: “L’adoreranno tutti gli abitanti della terra, il cui nome fin dall’origine del mondo non sta scritto nel libro della vita dell’Agnello immolato”. A conferma di ciò possiamo osservare che l'espressione “fin dalla fondazione del mondo” (in greco “ἀπὸ καταβολῆς κόσμου”) di Ap 13, 8 si trova ― identica e riferita ancora alla mancata iscrizione dei nomi nel libro della vita ― anche in Ap 17, 8 (cfr. Mt 25, 34). Rammento che “[...] la successione dei membri della frase nella consuetudo [corsivo originale] delle lingue classiche è abbastanza libera” (Heinrich Lausberg, Elementi di retorica, Il Mulino, Bologna 1969, p. 180).
Nell'ultimo capitolo dell'Apocalisse, il 22, leggiamo ancora che Gesù Cristo, l'Agnello, viene presto: “7Ecco, io vengo presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro” (Ap 22, 7); concetto ribadito anche dal versetto 12 del medesimo capitolo: “12Ecco, io vengo presto e ho con me il mio salario per rendere a ciascuno secondo le sue opere” (Ap 22, 12).
Sempre nell'ultimo capitolo viene ripetuto, di nuovo, che il tempo è vicino: “10E aggiunse: «Non mettere sotto sigillo le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino»” (Ap 22, 10).
Il criterio dell’imbarazzo
A chi volesse obiettare che i versetti che presentano come imminente la venuta del Figlio dell'uomo e del regno di Dio non rispecchiano il messaggio originale di Gesù, ma sono stati tutti aggiunti dalla Chiesa primitiva, rispondo che si tratta di un'obiezione priva di senso, perché la Chiesa primitiva non avrebbe mai aggiunto dei versetti che l'avrebbero messa in difficoltà o, comunque, indebolita nel contraddittorio con gli avversari: faccio riferimento al noto criterio di storicità denominato “criterio dell'imbarazzo o di contraddizione” (v. John Paul Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, Vol. 1. Le radici del problema e della persona, trad. it. di L. de Santis, Queriniana, Brescia 2018, pp. 160 ss.). La maggioranza dei biblisti è concorde nel ritenere che la redazione dei vangeli sinottici sia stata portata a termine tra gli anni 70 e 90 del I secolo d.C.: quindi in un periodo di tempo in cui ormai era difficile sostenere la tesi dell'imminente ritorno di Gesù dopo la sua morte. Le parole così imbarazzanti sull'imminenza della venuta gloriosa del Figlio dell'uomo e della fine del mondo attuale, attestate da molteplici fonti neotestamentarie, sono state conservate nei vangeli perché quasi sicuramente pronunciate da Gesù stesso (sono “ipsissima vox” di Gesù) e facenti parte del kèrigma iniziale (antecedente alla redazione del NT, che lo ha recepito).
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