A prova di ciò possiamo osservare che i suddetti versetti contengono un numero insolitamente alto di lessemi non paolini e presentano una struttura grammaticale che non è caratteristica di Paolo (cfr. Joachim Jeremias, The Eucharistic Words of Jesus, trad. ingl. di N. Perrin, Fortress Press, Philadelphia 1977, pp. 101-102). In nessun altro passo di Paolo leggiamo l'espressione “κατὰ τὰς γραφάς” (“secondo le Scritture”), utilizzata qui per ben 2 volte, né, all'infuori di 1 Cor 15, 5-8, troviamo in Paolo la forma verbale “ὤφθη” (“apparve”) ― in verità la voce verbale “ὤφθη” compare anche in 1 Tm 3, 16, ma attualmente la maggioranza dei biblisti considera la Prima Lettera a Timoteo, così come la Seconda, pseudoepigrafica ― né il lessema “δώδεκα” (“Dodici”), riferito ai Dodici che furono più vicini a Gesù. Faccio notare ai lettori meno esperti che “le Scritture” menzionate nei vv. 3b e 4 di 1 Cor 15 non sono ovviamente i vangeli, che sono stati composti dopo la stesura di questa lettera paolina, ma le Scritture ebraiche, in cui i riferimenti più pertinenti, pur nella loro vaghezza, sono Is 53, 5; Gn 2, 1 e, forse, Os 6, 2, che da Tertulliano in poi è stato spesso riferito al racconto della risurrezione di Gesù il terzo giorno. Paolo scrive “Dodici” e non “Undici”, perché l'ignoto autore della formula pre-paolina e Paolo stesso non erano a conoscenza delle tradizioni leggendarie e degli interventi redazionali ― entrambi fra loro difficilmente conciliabili ― in merito al “tradimento” (quantunque Paolo di Tarso accenni genericamente al fatto che Gesù “fu tradito” in 1 Cor 11, 23) e alla morte di Giuda Iscariota, che leggiamo nei vangeli e negli Atti degli apostoli, fonti redatte sicuramente diversi anni dopo la Prima Lettera ai Corinzi: per un'esegesi e un'ermeneutica ancora attuali delle tradizioni e delle integrazioni redazionali attinenti alla figura dell'Iscariota, v. Werner Vogler, Judas Iskarioth: Untersuchungen zu Tradition und Redaktion von Texten des Neuen Testaments und außerkanonischer Schriften, Vol. 42 di “Theologische Arbeiten”, zweite Ausgabe, Evangelische Verlagsanstalt, Berlin 1985 e Hans-Josef Klauck, Judas - ein Jünger des Herrn, Vol. 111 di “Quaestiones disputatae”, Verlag Herder, Freiburg im Breisgau-Basel-Wien 1987; sulle varie immagini che sono state fornite di Giuda Iscariota, dall'antichità a oggi, presentate alla luce di un'interpretazione meno fosca e più positiva di questa figura e delle sue azioni, v. anche, dello stesso Hans-Josef Klauck, Judas der 'Verräter'? Eine exegetische und wirkungsgeschichtliche Studie, in Wolfgang Haase (a cura di), Band 26/1. Teilband Religion (Vorkonstantinisches Christentum: Neues Testament [Sachthemen]), Teil des mehrbändigen Werks Aufstieg und Niedergang der römischen Welt / Rise and Decline of the Roman World > Principat, Walter de Gruyter, Berlin-Munich-Boston 2016, pp. 717-740.
Il versetto 6 del summenzionato capitolo 15, invece, non appartiene alla tradizione citata nei vv. 3b-5, ma si tratta un'aggiunta redazionale di Paolo, come sostiene lo storico Ulrich Wilcken, in quanto i termini “ἐπάνω” (“più di”) e “ἐφάπαξ” (“in una sola volta”) rendono questo versetto ridondante rispetto alla stringata schematicità dei versetti precedenti e forniscono un significato meno preciso (v. Ulrich Wilcken, Die Missionsreden der Apostelgeschichte: Form- und traditionsgeschichtliche Untersuchungen, in Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament, Band 5, dritte, überarbeitete und erweiterte Ausgabe, Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1974, nota 4, p. 73): prima di U. Wilcken, formulò questa ipotesi Adolf von Harnack, che, secondo la maggioranza degli studiosi, fu il primo a elaborarla, rilevando, fra l'altro, la differenza di stile tra la struttura “ὅτι” (“che”) - “ὅτι” - “ὅτι” della professione di fede pre-paolina e la struttura “ἔπειτα” (“in seguito”) - “ἔπειτα” - “εἶτα” (“quindi” nella trad. CEI 2008: comunque anche questo avverbio si può tradurre con “in seguito”) dei versetti 6-7 (v. Adolf von Harnack, Die Verklärungsgeschichte Jesu: der Bericht des Paulus (I. Kor. 15, 3 ff.) und die beiden Christusvisionen des Petrus, in Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, VII, Verlag der Akademie der Wissenschaften, Berlin 1922, pp. 62-80).
L'analisi lessicale ci dimostra agevolmente che il versetto 6 è opera di Paolo: in base alle attuali conoscenze è impossibile determinare con certezza se siamo di fronte a una creazione interamente originale di Paolo o a un versetto che testimonia di un'altra tradizione, forse solo orale, che Paolo si premura di riferire e magari di modificare e amplificare.
Paolo di Tarso ha usato l'avverbio “ἐφάπαξ” (“in una sola volta”) nel tentativo di dimostrare che l'asserita apparizione “a più di cinquecento fratelli” è stata un'esperienza oggettiva; se avesse omesso questo avverbio, molti avrebbero potuto supporre che singoli individui (come, ad esempio, “Cefa” e “Giacomo” o Paolo stesso) e piccoli gruppi (come, ad esempio, quello dei “Dodici” e quello di “tutti gli apostoli”) si fossero separatamente autoingannati: era molto più problematico per gli avversari di Paolo concepire che più di cinquecento persone contemporaneamente si fossero autoingannate. Poiché allora non erano note le attuali ricerche psicologiche sulle allucinazioni collettive (di cui alcuni studiosi negano l'esistenza e che, in ogni caso, sono molto rare), era difficile muovere un'obiezione di tal genere: peraltro io, di fronte a simili asserzioni, più che un'allucinazione o un'illusione, pavento un mendacio. A chi conosce l'inglese consiglio la lettura di un saggio di Richard Bentall, professore di psicologia clinica all'università di Sheffield: Richard P. Bentall, Hallucinatory Experiences, in Etzel Cardeña, Steven Jay Lynn and Stanley Krippner (a cura di), Varieties of Anomalous Experience: Examining the Scientific Evidence, 2nd Edition, American Psychological Association, Washington, D.C. 2014. Tenete, comunque, ben presente che le diagnosi psicologiche e psichiatriche (che godono di un valore scientifico assai discutibile) e, più in generale, la psicopatologia possono essere utilizzate (e di fatto lo sono spesso) per attaccare, screditare e a volte distruggere le idee e le persone sgradite.
Per essere ancora più convincente, Paolo soggiunge che “la maggior parte di essi vive ancora”, con la conseguenza implicita che potrebbe ancora testimoniare su ciò che vide, contraddicendo gli increduli.
Il versetto 6 non riferisce un fatto (vero o falso che sia) facente
parte del credo pre-paolino tradizionale che leggiamo in 1 Cor 15, 3b-5 e
che Paolo ha ricevuto da altri, ma costituisce un elemento redazionale
inserito da Paolo stesso con l'intento apologetico di dimostrare che
l'esperienza visiva del Risorto è stata indubitabilmente reale e che, quindi, anche le apparizioni antecedenti, riferite in 1 Cor 15, 5,
sono reali.
Per difendere la “veridicità” delle apparizioni post-pasquali (“veridicità” nel senso che alcuni seguaci di Gesù avrebbero visto qualcuno che era realmente presente e che quel qualcuno era Cristo risorto in persona) e, dunque, della risurrezione di Gesù, Paolo di Tarso ha voluto aggiungere alla tradizione pre-paolina le ulteriori testimonianze dell'apparizione a più di cinquecento fratelli in una sola volta, di quella a Giacomo e a tutti gli apostoli e di quella a se stesso. Gli studiosi del NT si sono accorti che questa asserita apparizione a più di cinquecento persone mal si accorda con quanto Pietro, secondo gli Atti degli apostoli, dichiara, rivolgendosi al centurione Cornelio e a molti altri, in relazione a Gesù: “40[...] Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, 41non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti” (At 10, 40-41. Bibbia CEI 2008).
Attualmente non tutti i ricercatori condividono l'opinione che l'intero versetto 6 non appartenga al credo tradizionale citato nel capitolo 15 della Prima Lettera ai Corinzi: John S. Kloppenborg, ad esempio, ritiene che anche il versetto 6a (“ἔπειτα ὤφθη ἐπάνω πεντακοσίοις ἀδελφοῖς ἐφάπαξ”) faccia parte della tradizione antecedente (v. John S. Kloppenborg, An Analysis of the Pre-Pauline Formula 1 Cor 15:3b-5 In Light of Some Recent Literature, in The Catholic Biblical Quarterly, Vol. 40, No. 3 (July 1978), Catholic Biblical Association of America, Washington, D.C. 1978, pp. 351-367) e David M. Moffitt scrive che i vv. 3b-7 sarebbero stati trasmessi a Paolo come un'unità preformata, alla quale egli avrebbe aggiunto solo il v. 6b (“ἐξ ὧν οἱ πλείονες μένουσιν ἕως ἄρτι”): v. David M. Moffitt, Affirming the “Creed”: The Extent of Paul's Citation of an Early Christian Formula in 1 Cor 15,3b-7, in Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft und die Kunde der Älteren Kirche, Vol. 99 (published in Print: 1 November 2007; published Online: 11 March 2008), Walter de Gruyter, Berlin 2007/2008, pp. 49-73.