“1Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. 2Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. 3Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». 4Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. 5Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. 6Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. 7Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”». 8Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite” (Mc 16, 1-8. Bibbia CEI 2008).
Il vangelo secondo Marco è la fonte neotestamentaria più antica che ci parla della tomba di Gesù trovata vuota del cadavere dalle donne che, al levare del sole, si dirigono al sepolcro.
Secondo il vangelo di Marco, queste donne, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome, trascorso il sabato, di buon mattino si recarono al sepolcro per ungere il corpo di Gesù con oli aromatici, ma, alla luce delle usanze funebri ebraiche, non è plausibile che le tre donne si siano avventurate fino al sepolcro con lo scopo di ungere il cadavere dopo più di un giorno e mezzo dalla sepoltura (calcolando l'intervallo di tempo tra la sera di venerdì e l'alba di domenica, i famosi “tre giorni e tre notti”, profetizzati da Gesù in Mt 12, 40, si riducono a poco più di un giorno e mezzo), tanto più che il vangelo di Giovanni ci racconta che furono Giuseppe di Arimatea e Nicodemo ― e non le donne ― ad avvolgere in bende con oli aromatici il corpo di Gesù il giorno stesso della sua morte (Gv 19, 40).
Così come è assai poco credibile che queste donne, passato il sabato, abbiano comprato gli unguenti prima dell'alba o al principio di essa (Mc 16, 1): Luca, infatti, accortosi dell'incongruenza riferita da Marco, racconta che le donne prepararono gli aromi e gli oli profumati il giorno della Parasceve (cioè il giorno di preparazione al sabato, corrispondente al nostro venerdì), mentre in quello di sabato osservarono il riposo prescritto (Lc 23, 54-56).
Non è altresì verosimile che le tre donne, senza essere accompagnate da nessuno che fosse in grado di rimuovere il masso che chiudeva il sepolcro, s'interroghino fra loro su chi avrebbe potuto far rotolare via la pietra tombale ― che “era molto grande” (Mc 16, 4) ― solo quando sono già in cammino (Mc 16, 3), pur essendo a conoscenza della presenza di questa pietra molto grande posta all'ingresso del sepolcro, in quanto testimoni oculari della chiusura della tomba (Mc 15, 47; v. anche Mt 27, 61; Lc 23, 55). Secondo Marco, infatti, “[Giuseppe d’Arimatea] 46[...] fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro” (Mc 15, 46) e “47Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto” (Mc 15, 47).
Inoltre, se a presidiare il sepolcro ci fossero state veramente le guardie di cui narra il vangelo secondo Matteo (Mt 27, 62-66), per le donne, discepole del giustiziato, sarebbe stato oltremodo arduo, se non impossibile, avvicinarsi a esso e sarebbe del tutto inspiegabile come queste donne sperassero di entrare nel sepolcro, dato che le guardie avevano proprio il compito di impedire l'ingresso a chiunque. Marco non menziona assolutamente le guardie perché si tratta di una leggenda riferita, se non creata, dal solo Matteo (è Sondergut matteano), a scopo apologetico, per controbattere l'accusa di sottrazione di cadavere, che si sarebbe divulgata tra i Giudei (Mt 28, 15). In Marco e negli altri vangeli canonici, ad eccezione di Matteo, quando le donne arrivano alla tomba, la pietra è già stata rotolata via. Matteo, invece, che ha voluto introdurre nel suo vangelo la presenza delle guardie, ritiene opportuno ― per coerenza ― scrivere che, mentre le donne (che nel suo vangelo sono solo due) si trovavano in prossimità del sepolcro, un angelo scese dal cielo e rotolò via la pietra, tanto che le guardie per la paura dell'angelo tremarono e diventarono come morte (Mt 28, 1-4).
Dopo aver fatto ingresso nella tomba e aver udito l'annuncio della risurrezione di Gesù Nazareno da parte di un giovane vestito d'una veste bianca e il suo comando: “7Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: ‘Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto’ ” (Mc 16, 7), le tre donne, piene di tremore e di stupore, fuggono e, disubbidendo al giovane vestito di bianco, non dicono niente a nessuno: “8Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite” (Mc 16, 8).
Così termina la
redazione originaria del vangelo secondo Marco: i versetti 9-20 del capitolo 16
furono aggiunti successivamente da un ignoto autore per armonizzare il finale
del vangelo di Marco con quelli degli altri vangeli, che sono stati redatti
sicuramente dopo la stesura del testo marciano; v. quanto ho scritto in merito
nel mio Post precedente dedicato all'Ascensione di Gesù.
In contrasto con il
vangelo di Marco, gli altri vangeli ci raccontano che le donne, dopo la
scoperta della tomba priva del cadavere di Gesù, parlarono e
annunciarono quanto avevano visto (v. Mt 28, 8; Lc 24, 9-10; Gv 20,
18).
Perché il vangelo più antico, quello secondo Marco, una delle fonti a cui attinsero i vangeli successivi di Matteo e Luca (faccio riferimento alla cosiddetta “priorità marciana”), sostiene in maniera categorica che le donne non dissero niente a nessuno?
Lo scopo di Marco era semplicemente quello di giustificare con un escamotage come il fatto della tomba vuota avesse potuto essere ignorato fino al momento in cui venne raccontato come uno dei segni della risurrezione.
Il silenzio attribuito da Marco alle donne, tuttavia, vanifica la loro testimonianza inventata, non lasciando altra garanzia di essa che il racconto dell'evangelista stesso, il quale si guarda bene dallo spiegare come sarebbe venuto a conoscenza del fatto, posto che le donne, come egli stesso scrive, “non dissero niente a nessuno” (Mc 16, 8). Possiamo tranquillamente affermare, evitando di attribuire un'eccessiva importanza a singole frasi estrapolate dal contesto, che nella tradizione ebraica le persone di genere femminile non sono mai state disprezzate e neglette, come vogliono farvi credere alcuni pubblicisti di parte (secondo cui Marco non avrebbe mai inventato, per non apparire poco credibile, una testimonianza esclusivamente femminile in merito alla scoperta della tomba vuota), e, in certi casi, potevano anche testimoniare in giudizio, oltre a ricoprire ruoli di primo piano come quello di regina, di profetessa e perfino di giudice, una funzione esercitata per circa quarant'anni dal personaggio veterotestamentario di Debora, moglie di Lappidot (v. Gdc 4-5).
La leggenda della scoperta della tomba vuota da parte delle donne sembra essere tarda: infatti gli scritti più antichi del Nuovo Testamento, vale a dire le lettere attribuite a Paolo di Tarso (redatte almeno dieci-quindici anni prima del vangelo di Marco: mi riferisco alle lettere autentiche, non a quelle pseudoepigrafiche), non menzionano né la tomba vuota, né le donne, né gli uomini o gli angeli presso di essa (v. il Post Gesù apparve veramente a più di 500 fratelli?). Ne parlano, invece, i vangeli, ma in maniera marcatamente contraddittoria e assai poco verosimile, come abbiamo rilevato in precedenza.
Inoltre, non sarebbe affatto comprensibile tutto lo stupore delle donne
e degli altri discepoli di fronte alla risurrezione di Gesù, se egli
avesse veramente predetto per ben tre volte la sua risurrezione dopo tre
giorni, come leggiamo nei vangeli sinottici (in Luca due volte anziché tre). In verità tali predizioni
furono attribuite a Gesù solo diverso tempo dopo la sua morte per ragioni teologiche: infatti i vangeli presentano la sua risurrezione come un evento inaspettato e sconvolgente per i discepoli.
La prassi romana, anche durante il principato di Tiberio, prevedeva che i cadaveri dei giustiziati fossero lasciati
per un certo tempo sulla croce a mo' di ammonimento, in balia di animali
famelici che ne avrebbero dilaniato le membra, e che poi i resti venissero
gettati in una fossa comune, dove si sarebbero decomposti fino a diventare
irriconoscibili. Se così avvenne anche per Gesù ― come sono propensi a ritenere celebri studiosi
quali John Dominic Crossan e Bart Denton Ehrman ―, per rendere verosimili le
tradizioni inerenti alla sua risurrezione fisica (seppur con un “σῶμα πνευματικόν”, un “corpo spirituale”, volendo usare la paradossale espressione paolina di 1 Cor 15, 44) e, in seguito, la leggenda
della tomba vuota, era necessario tramandare dei racconti che narrassero di una
sua adeguata e decorosa sepoltura.
I ricercatori che studiano in maniera scientifica il Nuovo
Testamento si sono accorti che le divergenze tra i vangeli in merito alla tomba
vuota e alle apparizioni del Risorto dimostrano, senza ombra di dubbio, che non
esistono
resoconti obiettivi degli eventi. Questi racconti sono assai discordanti
fra loro, non solo relativamente ad alcuni particolari secondari, ma anche per quanto riguarda aspetti
fondamentali che arrivano a modificare la descrizione complessiva.
Sia il senso storico sia il senso comune ci portano a condividere l'opinione che la croce, non la risurrezione, àncora la fede nella storia e che si possono formulare domande storiche solo sulla croce, non sulla risurrezione: “Das Kreuz, nicht die Auferstehung verankert den Glauben in der Geschichte. Nur nach dem Kreuz, nicht aber nach der Auferweckung kann daher historisch gefragt werden” (Ingolf Ulrich Dalferth, Volles Grab, leerer Glaube? Zum Streit um die Auferweckung des Gekreuzigten, in Zeitschrift für Theologie und Kirche, Vol. 95, No. 3 (September 1998), Mohr Siebeck Verlag, Tübingen 1998, p. 385).
“Ma la risurrezione di Cristo non è un evento puramente mitico? [corsivi originali]”, s'interroga il teologo Rudolf Karl Bultmann, arrivando alla risposta che “in ogni caso, non è certo un evento che appartenga alla storia e che come tale vada compreso nella sua portata”; due pagine dopo conclude: “Di fatto: la risurrezione di Gesù non può essere un miracolo che fa fede [corsivo originale], in base al quale chi dubita possa rinsaldare la sua fede nel Cristo” (Rudolf Bultmann, Nuovo Testamento e mitologia. Il manifesto della demitizzazione, trad. it. di L. Tosti e F. Bianco, Queriniana, Brescia 1970, pp. 165 e 167).
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