“The imminent return of the Lord Jesus”

† “The imminent return of the Lord Jesus” † The Blog deals with the Parousia announced as imminent in the New Testament but never occurred, other missed prophecies and more... The great Christian Promise has not been kept. The “truth” about Jesus and Christianity. This is a religious website.

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“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” † “My God, my God, why have you forsaken me?”

 

34Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 35Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». 36Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». 37Ma Gesù, dando un forte grido, spirò” (Mc 15, 34-37. Bibbia CEI 2008).

 

46Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 47Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». 48E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. 49Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». 50Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito” (Mt 27, 46-50. Bibbia CEI 2008).

 

1Al maestro del coro. Su «Cerva dell’aurora». Salmo. Di Davide.
2Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido!
 (Salmo 22, 1-2. Bibbia CEI 2008).


Grande rotolo in pergamena dei Salmi (11Q5), scoperto a Qumran nel 1956
Grande rotolo in pergamena dei Salmi (11Q5), scoperto a Qumran nel 1956.



Nel vangelo secondo Matteo citato sopra, le prime parole del lamento di Gesù sulla croce corrispondono letteralmente alle prime parole che leggiamo nel testo ebraico del salmo 22 al versetto 2 (secondo la suddivisione dei versetti adottata da “The Holy Scriptures della Jewish Publication Society e dalla Bibbia CEI 2008); nella Bibbia ebraica che si basa sul testo masoretico, troviamo la proposizione tradotta in italiano dalla Bibbia CEI 2008 con “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, scritta con i seguenti caratteri:אֵלִ֣י אֵ֭לִי לָמָ֣ה עֲזַבְתָּ֑נִיIn Mt 27, 46 e nel salmo 22, Dio è invocato in ebraico mediante il termine “Elì”, che significa “Dio mio” (אֵלִי è il lessema ebraico con la vocalizzazione masoretica, traslitterato in greco, nel vangelo secondo Matteo, con ηλι); nel vangelo di Marco, invece, troviamo il lessema “Eloì(corrispondente alla forma aramaica אֱלָהִי Elahì” − o, secondo alcuni biblisti poco convincenti, a quella ebraica אֱלוֹהִים Elohìm , traslitterata imperfettamente nel vangelo secondo Marco conελωι: la lettera ω al posto dell'α può essere dovuta all'influenza dell'ebraico אֱלֹהַי Elohái). Non è plausibile che i soldati romani, sentendo la parola “Eloì” (o Elahì), come scrive Marco, anziché Elì, come scrive Matteo, abbiano pensato erroneamente che Gesù invocasse il profeta Elia (Mc 15, 35): infatti in ebraico il nome Elia si scriveאֵלִיָּהוּe si pronuncia “Eliyáhu”, il cui diminutivo è precisamenteאֵלִי(“Elì”). Difficilmente altre persone, oltre ai soldati romani, avrebbero potuto intendere in maniera erronea le parole di Gesù, perché quasi sicuramente vicino alla croce non erano presenti altri testimoni di questa invocazione, considerato che le donne, secondo quanto troviamo scritto nel vangelo più antico, quello di Marco (il quale ci riferisce altresì che gli altri discepoli erano fuggiti: v. Mc 14, 50; cfr. Mt 26, 56), osservavano la scena ἀπὸ μακρόθεν, locuzione avverbiale greca che significa da grande distanza (Mc 15, 40; v. anche Mt 27, 55 e Lc 23, 49), sebbene sia assai arduo accertare l'attendibilità storica di questa annotazione; Gv 19, 25-27, redatto diverso tempo dopo i sinottici, non ha alcun fondamento storico, ma unicamente teologico, così come del resto non lo hanno Lc 23, 34a, che è stato inserito, a giudizio di alcuni esegeti, solo durante la seconda redazione del vangelo di Luca e manca in molti manoscritti antichi e autorevoli (quali il Papiro 75, il Codice Sinaitico corretto א1, il Codice Vaticano, il Codex Bezae Cantabrigiensis di prima mano, il Codex Vercellensis Evangeliorum, il Codex Washingtonianus, il Sinaitico Siriaco e altri), e Lc 23, 43. 46, che costituiscono due redazionalità lucane (sono, cioè, due versetti che contengono frasi aggiunte dal redattore del vangelo secondo Luca), funzionali alla rappresentazione (chiaramente idealizzata) di Gesù che questo vangelo intende trasmettere.

I primi cristiani presero a modello, per descrivere le scene della crocifissione, agonia e morte di Gesù, alcuni brani dell'Antico Testamento, soprattutto i salmi 22, 31, 34 e 69 (sono stati in particolar modo questi salmi a ispirare i racconti delle ultime ore di Gesù che leggiamo nei vangeli: oltre ai citati Mc 15, 34 e Mt 27, 46, anche Lc 23, 46 contiene la citazione testuale di un salmo, il versetto 6 del salmo 31, e Gv 19, 24 cita il v. 19 del ricordato salmo 22, mentre Gv 19, 36 menziona il v. 21 del salmo 34 nella trad. CEI 2008, unitamente a Es 12, 46), al fine di giustificare e sacralizzare questi tragici eventi e renderli accettabili ed edificanti: stando all'interpretazione che di questi fatti elaborarono i primi cristiani e, in seguito, gli evangelisti, Gesù, il Figlio di Dio, adempì le Scritture, subendo l'umiliazione della morte di croce, e assurse a simbolo di riscatto per tutti coloro che ingiustamente subiscono la sofferenza e la morte (cfr., seppur da una prospettiva diversa dalla mia, Charles Harold Dodd, Secondo le Scritture. Struttura fondamentale della teologia del Nuovo Testamento, edizione italiana a cura di A. Ornella, Paideia, Brescia 1972, pp. 120-132 e Lothar Ruppert, Jesus als der leidende Gerechte? Der Weg Jesu im Lichte eines alt- und zwischentestamentlichen Motivs, Vol. 59 di Stuttgarter Bibelstudien, Verlag Katholisches Bibelwerk, Stuttgart 1972, p. 58).Non è impossibile che tutte le «ultime sette parole» compreso il «grido di abbandono» rappresentino l’interpretazione teologica della chiesa delle origini e degli evangelisti” (John Paul Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, vol. 1. Le radici del problema e della persona, trad. it. di L. de Santis, Queriniana, Brescia 2018, p. 164).

Sebbene le parole di Sal 22, 2 (che, come ho già evidenziato, fanno parte delle Scritture ebraiche) possano apparire scandalose e impertinenti ad alcuni lettori contemporanei che non comprendono pienamente la forma mentis che sta alla base dei salmi di supplica dell'AT, è del tutto fuori luogo invocare il criterio dell'imbarazzo come possibile indizio della loro storicità, perché i primi cristiani, che erano di cultura ebraica, non consideravano empia e imbarazzante la citazione del salmo 22 (da loro sicuramente conosciuto), attribuita a Gesù crocifisso dai vangeli di Marco e Matteo.

Le interpretazioni soteriologiche della passione e morte di Gesù (si pensi alla dottrina teologica della sostituzione vicaria di Gesù per il riscatto del genere umano, fondata sull'assunto che egli avrebbe pagato per i peccatori il prezzo della loro redenzione), pur avendo un fondamento scritturale (v. soprattutto Mc 10, 45 ― benché le parole attribuite a Gesù in questo versetto siano espressione dell'insegnamento paolino e non di quello gesuano ―, e il parallelo Mt 20, 28, che si basa interamente sul versetto citato di Marco; Is 53, che i primi cristiani intesero riferire a Gesù; Rm 3, 25-26; 5, 6-9; Col 1, 14; Ef 1, 7; 5, 2; 1 Tm 2, 5-6; Tt 2, 14; Eb 9, 14; 10, 10; 1 Pt 1, 18-19; 1 Gv 2, 1-2; Ap 5, 9; 7, 14), hanno ben poca attinenza con la ricerca sul Gesù storico, perché si tratta di riflessioni a posteriori che possono essere fatte proprie solo “per mezzo della fede”, “διὰ τῆς πίστεως”, come si legge nel testo greco di Rm 3, 25: per ragioni di acribia teologica, preferisco citare la lectio difficilior, che troviamo nel Codice Vaticano e in altri testimoni posteriori, con l'articolo determinativo “τῆς” (“della”), sulla quale è stata condotta la traduzione della Bibbia CEI 2008, anziché la lezione senza il suddetto articolo, che è contenuta nel Codice Sinaitico e in altri manoscritti di prima mano. Anticamente il mito della funzione salvifica delle sofferenze patite dal Giusto, che avrebbero determinato un cambiameno radicale dello statuto ontologico del mondo, era presente in diverse culture mediterranee. Senza dubbio il Cristo che ci presenta Paolo di Tarso non è “κατὰ σάρκα (espressione greca che troviamo in 2 Cor 5, 16, tradotta fedelmente dalla Bibbia CEI 1974 con “secondo la carne”), ma è il Cristo della Fede: “16[…] se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così (2 Cor 5, 16b. Bibbia CEI 2008). 

Un supplizio così straziante e orribile come la crocifissione era di solito riservato ai maschi (nei confronti dei quali generalmente si usa ben poca umanità), anche se Giuseppe Flavio ci fa sapere di una femmina condannata a questa pena da Tiberio, forse perché si trattava di un ex schiava (Giuseppe Flavio, Ἰουδαϊκὴ ἀρχαιολογία [opera nota in italiano con il titolo Antichità Giudaiche], 18, 79). In realtà, presso i Romani, le uniche esecuzioni pubbliche (anche per mezzo della crocifissione) di donne tramandateci dalle fonti riguardano le sante martiri cristiane, durante le persecuzioni.

Quella di Gesù è una vicenda che purtroppo si ripete da millenni all'infinito: la brutale uccisione di un maschio impossibilitato a difendersi, ma a tutt'oggi non scorgo una ferma volontà generale di porre termine a simili violenze. 




Diego Velázquez, Cristo crocifisso (particolare)
Diego Velázquez, Cristo crocifisso (particolare).

Matteo manipola il testo marciano ― da cui dipende e trasforma “Eloì” in “Elì” (che viene a essere l'unico termine ebraico in una frase interamente aramaica: v. Bruce Manning Metzger, A Textual Commentary on the Greek New Testament, United Bible Societies, London-New York 1975, p. 120): così facendo, l'autore del vangelo secondo Matteo può citare alla lettera le prime parole ebraiche che leggiamo nel versetto 2 del salmo 22 e rendere più verosimile l'asserto secondo cui i soldati romani avrebbero interpretato il lamento di Gesù come una preghiera a Elia. 

Nondimeno questa manipolazione dimostra che l'invocazione attribuita a Gesù crocifisso dal vangelo di Matteo è priva di ogni fondamento storico, perché l'autore del vangelo secondo Matteo (così come quello del vangelo secondo Marco) non fu testimone oculare dell'agonia di Gesù in croce, ma usò il racconto di Marco come modello, basandosi interamente su di esso e cambiando solo alcuni lessemi per renderlo maggiormente credibile. Rilevo, inoltre, che, ad eccezione dei summenzionati Mc 15, 34 e Mt 27, 46, che riportano, come ho illustrato sopra, la citazione di un versetto dell'AT (Sal 22, 2a), nei vangeli Gesù non si rivolge mai a Yahweh chiamandolo “Θεός”, cioè “Dio”.

In parole povere, è estremamente improbabile che Gesù, sulla croce, abbia detto: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34; Mt 27, 46).

 

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21 settembre 2021

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