ascoltino, sì, ma non comprendano,
perché non si convertano e venga loro perdonato” (Mc 4, 11-12. Bibbia CEI 2008).
“16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»” (Mt 28, 16-20. Bibbia CEI 2008).
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Ghirlandaio, Vocazione dei primi apostoli. |
Il Gesù storico non ha mai pronunciato le parole del comando (o mandato) missionario che sarebbe stato impartito in Galilea agli undici apostoli rimasti ed è contenuto in Mt 28, 19-20a: esse sono frutto delle antiche comunità cristiane (cfr. At 1, 8). Il parallelo Mc 16, 15, che fa parte del “finale lungo di Marco” (Mc 16, 9-20), costituisce, come il resto del suddetto “finale”, un'interpolazione risalente con ogni probabilità alla seconda metà del II secolo d.C., come vi ho comunicato nei Post precedenti L’Ascensione di Gesù e Marco e il mito della tomba vuota di Gesù.
Gesù ebreo osservante della Torah
Queste parole attribuite a Gesù risorto sono in stridente contrasto con quelle che il Gesù storico ― che era un ebreo osservante della Torah ― pronunciò durante la sua vita: nello stesso vangelo di Matteo, infatti, leggiamo quest'ordine di Gesù (perfettamente coerente con la sua volontà di raccogliere tutto Israele in vista del regno di Dio, che egli considerava imminente) ai dodici apostoli: “5Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele” (Mt 10, 5-6. Bibbia CEI 2008). Tali parole di Gesù sono state seguite da altre ancora più imbarazzanti (sul criterio dell'imbarazzo, v. l'ultimo paragrafo del mio Post precedente “L’imminente ritorno del Signore Gesù”), rivolte alla donna cananea (“di origine siro-fenicia”, come indicato in Mc 7, 26), che lo supplicava affinché guarisse sua figlia: “24Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele»” (Mt 15, 24. Bibbia CEI 2008); “26Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini»” (Mt 15, 26. Bibbia CEI 2008; v. anche il versetto parallelo di Mc 7, 27): a quei tempi le discriminazioni etnico-religiose non erano stigmatizzate come oggi. Le frasi che leggiamo in Mt 8, 11-12, le quali fanno riferimento agli ebrei della diaspora e non ai pagani (come invece credono imprudentemente diversi biblisti, ravvisandovi un'allusione a Is 25, 6), assenti nel vangelo di Marco, non appartengono alla redazione originaria del vangelo secondo Matteo, ma derivano probabilmente dalla fonte Q (Q 13, 28-29) e furono aggiunte durante una fase successiva del processo di redazione ― analogamente a quanto è avvenuto per i versetti paralleli di Lc 13, 28-29 durante l'iter redazionale del vangelo di Luca ―, in armonia solo apparente con Mt 28, 19-20a che stiamo esaminando: infatti nel parallelo di Mt 8, 5-13 contenuto nel vangelo di Luca (Lc 7, 1-10), che riporta anch'esso l'esclamazione ammirata di Gesù di fronte alla fede del centurione (un ufficiale di origine non ebraica, probabilmente al servizio di Erode Antipa e, stando ai testi di Matteo e Luca citati sopra e di Gv 4, 46-53, che presenta una variante di questo miracolo, simile ma indipendente, anziché alle interpretazioni aberranti di alcuni teologi contemporanei, di certo non interessato sessualmente al suo servo ― nel vangelo giovanneo il figlio ― gravemente ammalato), non troviamo affatto le proposizioni che leggiamo in Mt 8, 11-12, le quali, poiché contengono nel testo greco ben 27 lessemi del tutto identici a quelli che troviamo in Lc 13, 28-29 (nel vangelo di Luca questo detto è inserito in un contesto completamente diverso da quello matteano), presuppongono la stessa fonte di Luca, vale a dire la suddetta fonte Q (dal tedesco Quelle, che significa semplicemente “fonte”), denominata, in modo più completo, Logienquelle, “fonte dei λόγια”, cioè fonte dei detti di Gesù. In merito al vangelo originario di Matteo, v. il lavoro di Harold Riley, The First Gospel, Mercer University Press, Macon, GA 1992, di cui, tuttavia, alla luce degli studi attuali, non possiamo condividere in toto le conclusioni: di fatto finora nessun biblista è riuscito a proporre argomenti sufficientemente fondati per negare la priorità marciana ed escludere l'esistenza della fonte Q.
Gran parte del fascino del cristianesimo riposa sull'importanza attribuita all'amore, che indubbiamente risale, nei suoi tratti essenziali, al Gesù storico, un leader carismatico che non rifuggiva dalle dispute legali tipiche del tempo e dell'area geografica in cui viveva e che meditò molto (nonostante dal NT risulti che nella sua vita abbia lavorato solo come “τέκτων”, vocabolo tradotto con “falegname” dalla Bibbia CEI 2008: v. Mc 6, 3) sulla Torah nel suo complesso e ne dedusse che i comandamenti dell'amore di Dio (v. Dt 6, 5, che si riferisce a Yahweh, Dio d'Israele) e dell'amore del prossimo (v. Lv 19, 18b: l'espressione ebraica “לְרֵעֲךָ֖”, tradotta dalla Bibbia CEI 2008 con “tuo prossimo”, sta in questo versetto a significare concisamente quello che, secondo la miglior esegesi scientifica ― v. soprattutto gli studi di M. Ebersohn, H.-P. Mathys, D. Kellermann e K. Berger ―, si può definire in modo dettagliato come un “compagno che è parimenti membro a pieno titolo della comunità etnico-religiosa israelitica”) occupano il posto più alto nella Legge (v. Mc 12, 28-31; Mt 22, 36-39), sebbene sia stato l'autore del vangelo secondo Matteo, e non il Gesù storico, a fare di questi due comandamenti il principio supremo da cui dipende (nel testo greco di Matteo leggiamo la voce verbale “κρέμαται”, che letteralmente significa “è appesa”, al singolare) tutta la Legge (in greco “ὅλος ὁ νόμος”: cfr. Rm 13, 8-10; Gal 5, 14), e anche i Profeti (v. Mt 22, 40). Nell'insegnamento del Gesù storico non troviamo mai nessuna contrapposizione tra Legge e amore: Gesù rispetta la Torah nella sua interezza ed è in base a essa che considera i comandamenti dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo, così come prescritti nella Legge (cfr. Mt 22, 36; Lc 10, 26), superiori a tutti gli altri. Il “comandamento nuovo” contenuto in Gv 13, 34; 15, 12. 17 rappresenta un'espressione della cristologia dall'alto (si considerino, in tal senso, soprattutto la misura e il fondamento dell'amore comandato: cfr. Gv 3, 16 e 1 Gv 4, 7-21; 5, 1-4) professata dalla comunità giovannea, a cui risale il quarto vangelo (sono evidenti i legami teologici con la Prima Lettera di Giovanni), e solo in termini molto vaghi e generali può essere fatto risalire al Gesù storico: “gli uni gli altri”, a cui fanno riferimento questi versetti, sono, nelle intenzioni dei redattori, i membri di detta comunità giovannea (identificata come il piccolo gruppo fedele a Gesù e separato dal mondo), la quale, al tempo del lavoro redazionale da cui proviene il vangelo secondo Giovanni, soffriva di forti tensioni interne, che dovevano essere mitigate, ed era costretta a confrontarsi con un ambiente sociale ostile e irto di pericoli (cfr. Raymond Edward Brown, Giovanni: commento al vangelo spirituale, a cura di A. Sorsaja, Cittadella, Assisi (PG) 2014, passim; e, dello stesso autore, La comunità del discepolo prediletto: luci e ombre nella vita di una chiesa al tempo del Nuovo Testamento, trad. it. di G. Natalini, Cittadella, Assisi (PG) 1982).
I detti di Mt 5, 17-48, comprese le sei “antitesi”, di cui ai vv. 21 ss. (“Avete inteso che fu detto [...] Ma io vi dico”), che in apparenza sembrano chiarire a grandi linee il rapporto tra Gesù e la Legge, seppur espressi nello stile categorico, radicale, conciso e sconcertante tipico di Gesù, in realtà non possono essere considerati tutti “ipsissima verba Iesu”, in quanto fanno parte di una composizione redazionale matteana, in cui sono assemblati fra loro detti autenticamente gesuani (probabilmente citati verbatim) e detti provenienti dai primi cristiani, allo scopo di creare un sintetico catechismo di memorabili (proprio perché incisivi e sconvolgenti) precetti morali (v. John Paul Meier, Law and History in Matthew's Gospel: A redactional Study of Mt. 5:17-48, Vol. 71 di “Analecta Biblica”, Biblical Institute Press, Rome 1976).
La regola aurea (v. Mt 7, 12; Lc 6, 31) non risale a Gesù, ma è un precetto pratico molto diffuso nella filosofia popolare pagana (non legato a nessun specifico teismo), che, secondo alcuni studiosi contemporanei, non fu mai nemmeno insegnato da Gesù, anche se era conosciuto nel giudaismo sotto forma negativa (cfr. Tb 4, 15a e Talmud Bavli, Shabbat 31a).
Persino l'inquietante riformatore tedesco Martin Luther, un teologo legato anche a interessi politico-economici e violentemente antiebraico (v., in italiano, Martin Lutero, Degli ebrei e delle loro menzogne, trad. it. di A. Malena, Einaudi, Torino 2000), dichiarò apertamente, nel titolo di un suo scritto del 1523, “che Gesù Cristo è nato ebreo” (cfr. Rm 1, 3; 9, 5) e dedicò una parte di esso al tentativo di dimostrare che in Gesù si sono realizzate le profezie veterotestamentarie concernenti il Messia: v. Martin Luther, Dass Jesus Christus ein geborener Jude sei und andere Judenschriften, bearbeitet und kommentiert von Matthias Morgenstern, Berlin University Press, Wiesbaden 2019.
Nell'Antico Testamento sono chiamati “figli di Dio” tutti gli Israeliti (v. Dt 14, 1; 32, 19; Is 43, 6-7; Os 2, 1) e “figlio di Dio” è anche il popolo di Israele nel suo complesso (v. Es 4, 22; Dt 32, 6. 18;
Os 11, 1; Sap 18, 13). Nel salmo 2 leggiamo l'annuncio di un decreto del Signore, che avrebbe detto, usando la formula di adozione divina, a un
re di Giuda: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”
(Sal 2, 7. Bibbia CEI 2008): queste parole sono state poi applicate a
Gesù (v. At 13, 33; Eb 1, 5; 5, 5 e cfr. Mt 17, 5; Mc 9, 7; Lc 3, 22; 9, 35; At 2, 36; Rm 1, 4).
Ricordo, in modo molto sintetico, che Gesù era un galileo nato, assai verosimilmente, a Nazaret (v. Gv 1, 46; 7, 41-42. 52; cfr. Mc 1, 9; 6, 1) ― e non a Betlemme di Giudea (villaggio in cui Davide nacque e fu unto, quale re, dal profeta Samuele, per ordine di Dio: v. 1 Sam 16, 12-13), come invece asseriscono i vangeli di Matteo e Luca (Mt 2, 1; Lc 2, 4-7), per fare intendere che in Gesù si sono adempiute le profezie messianiche dell'AT (v. Mi 5, 1 e cfr. Mt 2, 6; Gv 7, 42) ―, mentre era ancora in vita Erode il Grande (v. Mt 2, 1), che regnò dal 37 al 4 a.C., anno della sua morte. Il vangelo secondo Luca riferisce che Gesù nacque “quando Quirinio era governatore della Siria” (Lc 2, 2. Bibbia CEI 2008), ma, in realtà, Publio Sulpicio Quirinio fu governatore della Siria dal 6 d.C. fino a una data non determinabile con certezza, quindi dopo la morte del suddetto re Erode: dal Libro XVIII delle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio ricaviamo che Quirinio fece eseguire in Giudea un primo censimento locale delle proprietà nel 6 d.C., censimento che, all'inizio, venne percepito come un oltraggio dalla popolazione e fomentò la rivolta dell'indipendentista Giuda il Galileo, menzionata in At 5, 37. Le ipotesi fantasiose in merito ai citati anacronismi e al fantomatico “censimento di tutta la terra” (Lc 2, 1), che non corrisponde al suddetto censimento di Quirinio del 6 d.C. e che sarebbe stato ordinato con decreto da Cesare Augusto (il quale, a onor del vero, mai ordinò un simile censimento durante il suo principato: i tre censimenti che portò a termine riguardavano solo i cittadini romani e furono effettuati negli anni 28 e 8 a.C. e, l'ultimo, nel 14 d.C.), ideate da alcuni studiosi che si rifiutano di ammettere le numerose incongruenze presenti nella Bibbia, non richiedono di essere rammentate in questo Post.
Se Maria e Giuseppe ― che, secondo Lc 2, 44, si sarebbero accorti dell'assenza del figlio Gesù solo dopo un giorno dall'inizio di un viaggio di ritorno da Gerusalemme, ove si erano recati, come ogni anno, per la Pasqua ― fossero stati al corrente dell'annunciazione (e la madre Maria, stando al vangelo di Luca, non avrebbe potuto non esserlo), da parte dell'angelo Gabriele, riguardante la nascita verginale del Messia e Figlio di Dio, Gesù (Lc 1, 32-33: “32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Bibbia CEI 2008), e se Giuseppe fosse stato veramente informato da un angelo del Signore che il bambino generato nella promessa sposa Maria veniva dallo Spirito Santo, che sarebbe stato chiamato Emmanuele e avrebbe salvato il suo popolo dai suoi peccati (v. Mt 1, 20-23), non si spiegherebbero il loro stupore e la loro incomprensione delle parole pronunciate dal dodicenne Gesù, quando, secondo il vangelo di Luca, fu trovato, dopo tre giorni, in mezzo ai dottori del Tempio, mentre li ascoltava e li interrogava: “48Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. 49Ed egli rispose loro: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. 50Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro” (Lc 2, 48-50. Bibbia CEI 2008). Molto probabilmente i primi due capitoli dei vangeli secondo Matteo e secondo Luca sono stati aggiunti dopo che la stesura del resto di questi vangeli era stata completata: gran parte dei racconti sulla nascita e l'infanzia di Gesù presenti nel vangelo di Matteo (che in parte utilizzò come modello tradizioni bibliche ed extrabibliche relative a Mosè, che furono rielaborate anche da Giuseppe Flavio), oltre a essere priva di fondamento storico (ricordiamo, ad esempio, i magi e la stella che li avrebbe guidati, l'ipotetica fuga in Egitto, la fantomatica strage degli innocenti che sarebbe stata ordinata da Erode, ecc.), è anche difficilmente conciliabile con quanto leggiamo nel vangelo di Luca (cfr. Mt 2, 1. 13-16. 19-23 con Lc 2, 22. 39): v. Raymond Edward Brown, The Birth of the Messiah, New update ed., Doubleday, New York-London-Toronto-Sydney-Auckland 1993, passim.
Ormai quasi tutti sono consapevoli che le genealogie di Gesù contenute nei vangeli di Matteo (Mt 1, 1-16) e Luca (Lc 3, 23-38), sotto l'apparente storicità (le liste sono notevolmente divergenti tra loro e, da Davide a Giuseppe, hanno in comune solamente due nomi), perseguono altri fini, soprattutto teologici: i primi cristiani intesero riferire a Gesù Is 11, 1 ss. (“Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse”, ecc.: Iesse è il padre del re Davide, che, nelle summenzionate genealogie, è indicato espressamente come uno degli antenati di Gesù).
Un fatto o un detto non può essere considerato storico solo perché è presente nei vangeli.
Chiesa delle genti
Mt 28, 18-20 rispecchia un'ideologia ecclesiologica propria di una “Chiesa delle genti” (nel NT il termine greco “ἔθνη”, corrispondente al latino “gentes” e all'italiano “genti”, indica spesso le nazioni pagane, popolate da non ebrei, detti Gentili o, in ebraico, “goyím”), che nell'economia della salvezza ha preso il posto di Israele (particolarmente nella predicazione di Paolo di Tarso, il quale annuncia che, quando “saranno entrate tutte quante le genti”, “allora tutto Israele sarà salvato”: v. Rm 11, 25-26), a cui ingiustamente è stata addossata la responsabilità della morte di Cristo, perché non ha voluto credere in lui (cfr. Rm 9, 30-33; v. anche 1 Ts 2, 15-16, benché questi due versetti, a causa del loro livido antisemitismo ante litteram ― molto evidente anche in Mt 27, 25 ―, che purtroppo suscitò nei secoli successivi parecchio odio e aggressività contro i Giudei, potrebbero non essere interamente opera dell'ebreo Paolo). I vangeli sinottici intendono attribuire la responsabilità della condanna a morte di Gesù al sinedrio (v. Mc 14, 53-64; Mt 26, 57-66; Lc 22, 66-71; 23, 1-2), che avrebbe deciso all'unanimità di farlo morire (v. Mc 14, 64; 15, 1), sminuendo il ruolo determinante avuto da Ponzio Pilato (l'unica autorità che allora in Giudea deteneva il potere giuridico di condannare alla crocifissione), al fine di evitare successive persecuzioni ai cristiani da parte dei Romani, persecuzioni che comunque si verificarono (cfr. Ap 17, 6).
Non sono verosimili le tradizioni e gli interventi redazionali inerenti all'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, pochi giorni prima della Pasqua, acclamato come re d'Israele (v. Lc 19, 37-38; Gv 12, 12-13 e cfr. Mt 21, 9-11; Mc 11, 9-10: solo Mc 11, 10a potrebbe avere qualche fondamento storico, anche se tutti gli evangelisti hanno falsificato le acclamazioni della folla in base alle loro ideologie cristologiche), perché, se quest'episodio fosse realmente accaduto, egli sarebbe stato immediatamente arrestato, così come, se avesse veramente espulso i mercanti dal tempio con la violenza, l'incidente non si sarebbe chiuso con una discussione sull'autorità che Gesù si attribuiva (v. Gv 2, 18-21: il vangelo di Giovanni colloca quest'episodio all'inizio del suo ministero, a differenza dei sinottici, che lo immaginano avvenuto dopo il suddetto ingresso a Gerulemme), ma con l'arresto immediato di Gesù. Infatti, nel periodo della Pasqua ebraica, i Romani e gli ebrei che collaboravano con loro (come i Sadducei) stavano molto all'erta e Ponzio Pilato, che di solito risiedeva a Cesarea Marittima, si recava, con al seguito alcune truppe, a Gerusalemme, al fine di reprimere ogni possibile disordine, perché, in tale periodo, arrivavano in quest'ultima città ebrei da ognidove, per celebrare la Pasqua e ricordare come Yahweh li aveva liberati dal dominio straniero: molti giudei confidavano che, entro breve tempo, qualcuno di loro li avrebbe liberati anche dai Romani (v. Lc 1, 54. 68; 2, 38; 24, 21 e cfr. Is 40, 2-5; 55, 12-13), come i loro antenati erano stati liberati, per mezzo di Mosè, dagli Egiziani (almeno così credevano allora gli Ebrei, anche se la verità storica è probabilmente un'altra: v., per i lettori non esperti che desiderano accostarsi a queste problematiche, Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman, Le tracce di Mosè. La Bibbia tra storia e mito, trad. it. di D. Bertucci, Carocci, Roma 2018) e in quei giorni alimentavano, ancor più che nel resto dell'anno, accesi sentimenti nazionalistici e concreti propositi di rivolta contro i Romani.
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Giotto, Cacciata dei mercanti dal Tempio (particolare). |
Dissonanza cognitiva
Le parole attribuite a Gesù in Mt 28, 19a. 20 (così come quelle, sicuramente non gesuane ma redazionali, di Mt 21, 43, che rappresenta il principale contributo matteano all'interpretazione della parabola dei vignaioli omicidi) trovano origine nella situazione (che costituisce il loro Sitz im Leben) di sofferenza psicologica ― e non solo ― vissuta dai primi cristiani, i quali, di fronte al rifiuto di un outsider come Gesù da parte dei membri dell'establishment giudaico (che lo vivevano psicologicamente come un rivale estraneo alla loro cerchia), alla sua ignominiosa e inattesa morte in croce e alla mancata realizzazione del regno di Dio, sperimentavano una marcata “dissonanza cognitiva”, ma non volevano darsi per vinti. Come vi ho illustrato nel mio Post precedente intitolato Una profezia fallita, la dissonanza che si crea in seguito alla disconferma di una credenza può essere affrontata validamente dai gruppi religiosi con un maggiore impegno nel proselitismo: infatti assai frequentemente si osserva un aumento del proselitismo dopo la disconferma di una credenza. “Se il proselitismo ha successo, raccogliendo più aderenti e circondandosi efficacemente di sostenitori, il credente riduce la dissonanza a tal punto da poterci convivere” (Leon Festinger et al., When prophecy fails: A social and psychological study of a modern group that predicted the destruction of the world, Harper Torchbooks, New York 1956, p. 28, trad. mia).
“Vaticinia ex eventu”
Stando al vangelo secondo Marco e agli altri due sinottici che si basano su Marco, ovverosia Matteo e Luca, Gesù avrebbe predetto per tre volte che avrebbe dovuto soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, che sarebbe stato ucciso e che, dopo tre giorni, sarebbe risorto. Possiamo escludere che queste profezie siano state pronunciate da Gesù (ci troviamo ancora di fronte a vaticinia ex eventu, cioè a predizioni formulate dopo che i fatti si erano verificati: v. anche, per quanto riguarda le predizioni della risurrezione, il mio Post precedente Marco e il mito della tomba vuota di Gesù), in base a quanto troviamo scritto nei vangeli canonici sull'arresto e la crocifissione di Gesù e al fatto che la storicità delle suddette predizioni non può assolutamente essere dimostrata applicando il criterio della discontinuità: infatti, se le tradizioni ― oppure le aggiunte, le omissioni o le modifiche redazionali e le successive interpolazioni ― inerenti alle parole e alle azioni di Gesù non si discostano da quanto le prime comunità cristiane avevano interesse a divulgare su di lui, tale criterio di storicità non può essere applicato. I primi cristiani avevano interesse a che non si diffondesse l'idea che Gesù e i suoi discepoli fossero stati colti alla sprovvista dal precipitare degli eventi che condusse alla sua cattura (Mt 26, 52-56 è del tutto inventato, perché i soldati venuti ad arrestarlo non si sarebbero di certo fermati per permettergli di tenere, in quei momenti convulsi, una simile catechesi, che comprende anche la citazione di un proverbio popolare) e alla sua morte in croce e intendevano riferire a Gesù i canti del “servo di Yahweh”, noto anche come il “servo sofferente”, del Deutero-Isaia (v. Is 42. 49-50. 52-53). Non è in ogni modo ammissibile l'applicazione del criterio della molteplice attestazione (questi criteri di storicità vanno sempre applicati con molta ragionevolezza e buon senso) a quelle predizioni riferite dai vangeli sinottici che hanno come fonte solo il vangelo secondo Marco, perché tale criterio di storicità si può applicare unicamente in presenza di almeno due fonti indipendenti o di almeno due testi appartenenti a generi letterari diversi: ad esempio, si possono considerare fonti indipendenti fra loro il vangelo di Marco, la fonte Q e le lettere attribuite a Paolo di Tarso.
Inoltre, è interessante osservare che i vangeli di Matteo e di Marco non riferiscono assolutamente di apparizioni di Gesù risorto a Gerusalemme e dintorni, mentre quello di Luca non accenna minimamente alla sua apparizione in Galilea, raccontata dal citato vangelo di Matteo, bensì al suo comando, rivolto ai discepoli sulla strada di Emmaus, di rimanere nella città di Gerusalemme, finché non fossero stati rivestiti di potenza dall'alto (v. Lc 24, 49); negli Atti degli apostoli, attribuiti anch'essi tradizionalmente a Luca, leggiamo che Gesù “4mentre si trovava a tavola con essi [si riferisce agli Undici: v. At 1, 13], ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre” (At 1, 4. Bibbia CEI 2008).
Battesimo in nome di Gesù
L'ordine di battezzare “nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28, 19b) non è sicuramente uscito dalla bocca di Gesù e non è nemmeno frutto delle prime comunità cristiane: si tratta in effetti di un'interpolazione molto tardiva, forse derivata dalla liturgia. Infatti gli Atti degli apostoli, come il resto del Nuovo Testamento, menzionano soltanto, quale battesimo pienamente cristiano (quello di Giovanni Battista era solo un battesimo di “conversione”, “μετάνοια” in greco: v. At 19, 4; v'informo di sfuggita che la traduzione errata, presente nella Vulgata di s. Girolamo, della voce verbale greca “μετανοεῖτε”, che significa “convertitevi”, in Mt 3, 2 e 4, 17, con l'espressione latina, facilmente equivocabile, “paenitentiam agite”, ha indotto nei secoli passati molte persone semplici a condurre una vita di inutili penitenze), il battesimo in nome di Gesù, senza fare riferimento a qualsivoglia formula trinitaria o meramente ternaria: v. At 2, 38; 8, 16; 10, 48; 19, 5; Rm 6, 3; 1 Cor 1, 13; Gal 3, 27; Ef 4, 5 e cfr. Lc 24, 47. La formula liturgica originale, che sta alla base di Mt 28, 19b, contenuta probabilmente in Didaché 7, 1. 3 (“Didaché” è la parola greca con cui inizia il primo titolo di questo scritto nel Codex Hierosolymitanus: “διδαχὴ τῶν δώδεκα ἁποστόλων”, cioè “insegnamento dei dodici apostoli”), venne trasformata prima in un “λόγιον” (un detto) di Gesù e poi interpolata in Mt 28, 19.
Formazione e contraddizioni dei vangeli
Prima di essere messi per iscritto, i racconti su Gesù circolarono
di bocca in bocca per decenni in diverse aree geografiche e in differenti lingue, senza ovviamente la possibilità di verificare in ogni caso se quanto una
persona riferiva
all'altra corrispondesse alla verità storica e se quest'ultima comprendesse esattamente quanto le veniva raccontato e avesse la capacità e la volontà di raccontarlo a sua volta senza introdurre alcuna alterazione. Nelle narrazioni tramandate in questo modo è dato riscontrare quasi sempre episodi inventati o ingigantiti o comunque deformati ― ad esempio racconti sensazionalistici che diventano ancora più sensazionali ―, dettagli modificati o aggiunti (cfr. il Post Il segreto messianico nel
vangelo secondo Marco), di solito in linea con il contenuto dei racconti iniziali. Analogamente, quando una calunnia viene divulgata, è probabile che alcune persone, venute a conoscenza di essa, inventino delle storie conformi alla calunnia
iniziale, così come accade di frequente che, se non si conosce l'autore di alcuni atti riprovevoli, la responsabilità di essi sia attribuita a soggetti già
etichettati come malviventi o comunque odiati dalla comunità. Quindi sicuramente, come ho dimostrato anche in
questo Blog, nei vangeli confluirono detti e fatti ― unitamente a ricostruzioni di essi ― storicamente inattendibili, inventati di sana pianta o modificati, se non deliberatamente deformati e travisati, rispetto ai racconti iniziali, amplificati
e abbelliti durante il periodo di trasmissione orale che precedette la stesura dei primi testi scritti su Gesù e, successivamente, la redazione dei vangeli;
senza dubbio anche i redattori dei vangeli e gli amanuensi che li
ricopiarono introdussero in essi ricostruzioni e informazioni non
storiche, alterazioni e abbellimenti. Infatti a quei tempi (e spesso
anche oggi) i racconti venivano non di rado arricchiti con circostanze inventate e si attribuiva all'intervento di personaggi già conosciuti come taumaturghi, o presentati come tali, il verificarsi di eventi straordinari a eziologia ignota; si creavano anche nomi per individui originariamente anonimi e addirittura si ideavano ex novo dei personaggi con un nome per le narrazioni che menzionavano solo una o più persone indistinte (v. Bruce Manning Metzger, Names for the Nameless in the New
Testament: A Study in the Growth of Christian Tradition, in Patrick Granfield and
Josef Andreas Jungmann (a cura di), KYRIAKON. Festschrift Johannes Quasten, Verlag Aschendorff, Münster Westfalen 1970, Vol. 1, pp. 79-99).
Le contraddizioni che troviamo nei racconti evangelici e nel resto del Nuovo Testamento riflettono, oltre a differenti tradizioni, anche le concezioni, i bisogni e gli interessi delle prime comunità cristiane (seppur attraverso la mediazione dei loro esponenti), così come sono andati evolvendosi nel tempo: il Nuovo Testamento è il prodotto più della fede e della vita di queste comunità che delle diverse tradizioni orali o scritte sull'esistenza terrena di Gesù, le quali erano accettate o respinte, modificate e integrate, in base alle concezioni, ai bisogni e agli interessi sopraccennati (v. Klaus Koch, Was ist Formgeschichte? Methoden der Bibelexegese, dritte, verbesserte Auflage mit einem Nachwort: Linguistik und Formgeschichte, Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1974). Il più meticoloso studioso del Gesù storico, John Paul Meier, scrive che, fra tutte le parabole contenute nei vangeli, solo quattro (la parabola del granello di senape: v. Mt 13, 31-32; Mc 4, 30-32; Lc 13, 18-19; quella dei vignaioli omicidi: v. Mt 21, 33-41; Mc 12, 1-9; Lc 20, 9-16; quella del banchetto di nozze: v. Mt 22, 2-14; Lc 14, 16-24; Vangelo copto di Tommaso 64 e quella dei talenti o delle monete: v. Mt 25, 14-30; Lc 19, 12-27) “offrono tutte le ragioni positive per decidere che, nella sostanza se non nella forma precisa, derivano dal Gesù storico” (John Paul Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, Vol. 5. L'autenticità delle parabole, trad. it. di M. Pescatori, Queriniana, Brescia 2017, p. 14), senza avventurarsi ad affermare che tutte le altre parabole sono creazioni della Chiesa delle origini o degli evangelisti, sebbene ammetta che alcune lo sono (v. ibid.). Quando non si dispongono di informazioni sufficienti e certe su una persona o non la si comprende bene, è presumibile che siano creduti reali detti e fatti, che la riguardano, del tutto o in parte inventati.
Spirito di discernimento
Chi sa discernere può anche comprendere che nulla di ciò che ho scritto in questo Blog contraddice l'insegnamento contenuto nella pseudoepigrafica Seconda Lettera a Timoteo: “16πᾶσα γραφὴ θεόπνευστος καὶ ὠφέλιμος πρὸς διδασκαλίαν, πρὸς ἐλεγμόν, πρὸς ἐπανόρθωσιν, πρὸς παιδείαν τὴν ἐν δικαιοσύνῃ” (2 Tm 3, 16) e che considero sensate le seguenti parole della Cost. dogm. Dei Verbum: “Per eandem Traditionem [la “ab Apostolis Traditio”, la “Tradizione di origine apostolica”: v., in questa medesima Cost., il capoverso precedente. Nota mia] integer Sacrorum Librorum canon Ecclesiae innotescit, ipsaeque Sacrae Litterae in ea penitius intelliguntur et indesinenter actuosae redduntur” (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 8; v. anche Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 120): è l'autorità della Chiesa Cattolica che ha portato molte persone a credere al vangelo: “Ego vero Evangelio non crederem, nisi me catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas” (Aurelius Augustinus, Contra Epistolam Manichaei quam vocant Fundamenti: liber unus, 5, 6: PL 42, 176). Per Karl Rahner solo la fede vissuta della Chiesa può decidere cosa appartiene al canone della Scrittura e cosa no, in quanto la Scrittura è qualcosa di derivato che deve essere compreso a partire dalla natura essenziale della Chiesa stessa, la cui autentica essenza teologica si è costituita, durante l'età apostolica, in un processo storico, nel quale la Chiesa è giunta alla sua piena essenza e al possesso credente di questa essenza: quest'autocostituzione dell'essenza della Chiesa ha implicato anche oggettivazioni scritte (v. Karl Rahner, Prima degli studi storico-esegetici di questi ultimi decenni e la promulgazione della Dei Verbum (v. nn. 7-10) e del Catechismo della Chiesa Cattolica (v. nn. 75-83), la Tradizione, teologicamente intesa, veniva definita, in modo alquanto dicotomico e artificioso, come “la parola di Dio, concernente la fede e i costumi, non scritta, ma trasmessa a viva voce da Cristo agli Apostoli e da questi ai successori fino a noi. Si dice non scritta [corsivo originale] non nel senso che non possa essere contenuta in opera alcuna, ma in quanto non è scritta per ispirazione divina” (Pietro Parente, Antonio Piolanti e Salvatore Garofalo, Dizionario di Teologia Dogmatica, IV edizione riveduta e ampliata, Editrice Studium, Roma 1957, pp. 411-412; cfr. Pio X, Catechismo Maggiore, nn. 889-891 e Id., Breve storia della religione, nn. 5 e 7-8); la citata Dei Verbum e il Catechismo della Chiesa Cattolica precisano che l'Evangelo venne predicato “tum ab Apostolis, qui in praedicatione orali, exemplis et institutionibus ea tradiderunt quae sive ex ore, conversatione et operibus Christi acceperant, sive a Spiritu Sancto suggerente didicerant, tum ab illis Apostolis virisque apostolicis, qui, sub inspiratione eiusdem Spiritus Sancti, nuntium salutis scriptis mandaverunt” (Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum cit., n. 7; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 76). Per quanto numerose e rilevanti siano le invenzioni degli uomini, non sono gli esseri umani da soli a tessere la trama delle loro vicende: “9Cor hominis disponit viam suam, sed Domini est dirigere gressus eius” (Pr 16, 9. Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum, Editio typica altera, Editio minor, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1986, p. 1066). “16Igitur non volentis neque currentis, sed miserentis Dei” (Rm 9, 16. Ivi, p. 2125): infatti “Deus escreve certo por linhas tortas” (detto popolare di origine portoghese). Ognuno di noi dovrebbe cercare la verità su Dio e la Sua Chiesa: “Omnes homines veritatem in iis, quae Deum eiusque Ecclesiam respiciunt, quaerere tenentur eamque cognitam amplectendi ac servandi obligatione vi legis divinae adstringuntur et iure gaudent” (can. 748, § 1 CIC 1983). Non traduco le frasi greche e latine citate poco sopra (chi desidera veramente informarsi può trovare facilmente le traduzioni in italiano e in altre lingue), perché sostanzialmente condivido le osservazioni di mons. Francesco Lanzoni: “Il volgo non distingue le differenze, le gradazioni, le sfumature delle qualità e dei caratteri. Per lui un soggetto dotato di bontà o di nequizia, di bellezza o di deformità o di altra qualità speciale, deve possederla piena e intera, in grado perfetto, dev’esserne pervaso, dev’essere, in una parola, o tutto avvenente o tutto brutto, o tutto buono e valoroso o tutto cattivo e vigliacco, ecc. Eroe o birbante. Il volgo non conosce medio, scriveva Tacito, e va agli estremi. Per il volgo ciò che è vero è vero tutto, senza mescolanza di errore, e al contrario quello che è falso, è falso senza mistura di verità. O vangelo o eresia. Quindi avviene che il volgo non si diletti, o assai poco, della dipintura di caratteri medi, di mezze tinte, e si compiaccia invece della descrizione di figure fornite di qualità recise e assolutamente spiccate” (Francesco Lanzoni, Genesi, svolgimento e tramonto delle leggende storiche. Studio critico, Tipografia poliglotta vaticana, Roma 1925, pp. 194-195).
“Missio ad gentes”
La Chiesa
sviluppatasi dopo la morte di Gesù non è chiusa e ristretta nel mondo
giudaico come lo erano i discepoli di Gesù quando egli era in vita,
ma persegue un'intensa “missio ad gentes” per
fare proseliti (ovviamente senza divulgazione e proselitismo nessuna religione o idea può avere successo) e alleviare così, fra l'altro, la sofferenza causata dalla
dissonanza cognitiva.
Gesù annunciava il Regno ma è venuta la Chiesa
Agli albori del secolo scorso, l'esegeta e storico Alfred Firmin Loisy, in un suo volume sul vangelo e la Chiesa, pubblicò una frase che allora destò molto scalpore e che oggi, in quest'epoca di profonda scristianizzazione (la sessolatria e la correlata ginecolatria del nostro tempo sono incompatibili con ogni istanza cristiana o meramente etica), viene letta con inconsapevole indifferenza: “Jésus annonçait le Royaume, et c’est l’Église qui est venue” (Alfred Loisy, L'Évangile et l'Église, Alphonse Picard et Fils, Éditeurs, Paris 1902, p. 111), vale a dire: “Gesù annunciava il Regno [di Dio], ed è la Chiesa che è venuta”.
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