“The imminent return of the Lord Jesus”

† “The imminent return of the Lord Jesus” † The Blog deals with the Parousia announced as imminent in the New Testament but never occurred, other missed prophecies and more... The great Christian Promise has not been kept. The “truth” about Jesus and Christianity. This is a religious website.

Cerca nel blog

Visualizzazioni del Blog

Translate

Gesù apparve veramente a più di 500 fratelli? † Did Jesus appear to more than 500 brothers?





3A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che 4fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture 5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. 6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto (1 Cor 15, 3-8. Bibbia CEI 2008).

In questo Post, oltre alla consueta Bibbia CEI 2008, devo citarvi, per i motivi che durante la lettura comprenderete, anche il corrispondente testo greco, su cui è stata condotta la traduzione riportata sopra:  
3παρέδωκα γὰρ ὑμῖν ἐν πρώτοις, ὃ καὶ παρέλαβον, ὅτι Χριστὸς ἀπέθανεν ὑπὲρ τῶν ἁμαρτιῶν ἡμῶν κατὰ τὰς γραφάς 4καὶ ὅτι ἐτάφη καὶ ὅτι ἐγήγερται τῇ ἡμέρᾳ τῇ τρίτῃ κατὰ τὰς γραφάς 5καὶ ὅτι ὤφθη Κηφᾷ εἶτα τοῖς δώδεκα· 6ἔπειτα ὤφθη ἐπάνω πεντακοσίοις ἀδελφοῖς ἐφάπαξ, ἐξ ὧν οἱ πλείονες μένουσιν ἕως ἄρτι, τινὲς δὲ ἐκοιμήθησαν· 7ἔπειτα ὤφθη Ἰακώβῳ εἶτα τοῖς ἀποστόλοις πᾶσιν· 8ἔσχατον δὲ πάντων ὡσπερεὶ τῷ ἐκτρώματι ὤφθη κἀμοί (1 Cor 15, 3-8. NA28).
 
 
Anonimo, Risurrezione, Ascensione, Pentecoste
Anonimo, Risurrezione, Ascensione, Pentecoste.

In questi versetti (non in tutti, come vedremo) della Prima Lettera ai Corinzi, Paolo di Tarso cita una professione di fede risalente a una tradizione pre-paolina che aveva già trasmesso ai cristiani di Corinto: una professione di fede che egli stesso ha ricevuto e che quindi esisteva ancor prima che la comunicasse ai Corinzi (cfr. 1 Cor 15, 3a). La citazione inizia al versetto 3b e termina al versetto 5.

A prova di ciò possiamo osservare che i suddetti versetti contengono un numero insolitamente alto di lessemi non paolini e presentano una struttura grammaticale che non è caratteristica di Paolo (cfr. Joachim Jeremias, The Eucharistic Words of Jesus, trad. ingl. di N. Perrin, Fortress Press, Philadelphia 1977, pp. 101-102). In nessun altro passo di Paolo leggiamo l'espressione “κατὰ τὰς γραφάς” (“secondo le Scritture”), utilizzata qui per ben 2 volte, né, all'infuori di 1 Cor 15, 5-8, troviamo in Paolo la forma verbale “ὤφθη” (“apparve”) in verità la voce verbale “ὤφθη” compare anche in 1 Tm 3, 16, ma attualmente la maggioranza dei biblisti considera la Prima Lettera a Timoteo, così come la Seconda, pseudoepigrafica né il lessema “δώδεκα” (“Dodici”), riferito ai Dodici che furono più vicini a Gesù. Faccio notare ai lettori meno esperti che le Scritture” menzionate nei vv. 3b e 4 di 1 Cor 15 non sono ovviamente i vangeli, che sono stati composti dopo la stesura di questa lettera paolina, ma le Scritture ebraiche, in cui i riferimenti più pertinenti, pur nella loro vaghezza, sono Is 53, 5; Gn 2, 1 e, forse, Os 6, 2, che da Tertulliano in poi è stato spesso riferito al racconto della risurrezione di Gesù il terzo giorno. Paolo scrive Dodici e non Undici”, perché l'ignoto autore della formula pre-paolina e Paolo stesso non erano a conoscenza delle tradizioni leggendarie e degli interventi redazionali entrambi fra loro difficilmente conciliabili in merito al tradimento (quantunque Paolo di Tarso accenni genericamente al fatto che Gesù fu tradito in 1 Cor 11, 23) e alla morte di Giuda Iscariota, che leggiamo nei vangeli e negli Atti degli apostoli, fonti redatte sicuramente diversi anni dopo la Prima Lettera ai Corinzi: per un'esegesi e un'ermeneutica ancora attuali delle tradizioni e delle integrazioni redazionali attinenti alla figura dell'Iscariota, v. Werner Vogler, Judas Iskarioth: Untersuchungen zu Tradition und Redaktion von Texten des Neuen Testaments und außerkanonischer Schriften, Vol. 42 di Theologische Arbeiten, zweite Ausgabe, Evangelische Verlagsanstalt, Berlin 1985 e Hans-Josef Klauck, Judas - ein Jünger des Herrn, Vol. 111 di Quaestiones disputatae, Verlag Herder, Freiburg im Breisgau-Basel-Wien 1987; sulle varie immagini che sono state fornite di Giuda Iscariota, dall'antichità a oggi, presentate alla luce di un'interpretazione meno fosca e più positiva di questa figura e delle sue azioni, v. anche, dello stesso Hans-Josef Klauck, Judas der 'Verräter'? Eine exegetische und wirkungsgeschichtliche Studie, in Wolfgang Haase (a cura di), Band 26/1. Teilband Religion (Vorkonstantinisches Christentum: Neues Testament [Sachthemen]), Teil des mehrbändigen Werks Aufstieg und Niedergang der römischen Welt / Rise and Decline of the Roman World > Principat, Walter de Gruyter, Berlin-Munich-Boston 2016, pp. 717-740. 

Il versetto 6 del summenzionato capitolo 15, invece, non appartiene alla tradizione citata nei vv. 3b-5, ma si tratta un'aggiunta redazionale di Paolo, come sostiene lo storico Ulrich Wilcken, in quanto i termini “ἐπάνω” (“più di”) e “ἐφάπαξ” (“in una sola volta”) rendono questo versetto ridondante rispetto alla stringata schematicità dei versetti precedenti e forniscono un significato meno preciso (v. Ulrich Wilcken, Die Missionsreden der Apostelgeschichte: Form- und traditionsgeschichtliche Untersuchungen, in Wissenschaftliche Monographien zum Alten und Neuen Testament, Band 5, dritte, überarbeitete und erweiterte Ausgabe, Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn 1974, nota 4, p. 73): prima di U. Wilcken, formulò questa ipotesi Adolf von Harnack, che, secondo la maggioranza degli studiosi, fu il primo a elaborarla, rilevando, fra l'altro, la differenza di stile tra la struttura ὅτι” (che”) - ὅτι” - ὅτι della professione di fede pre-paolina e la struttura ἔπειτα” (in seguito) - ἔπειτα” - εἶτα(quindi nella trad. CEI 2008: comunque anche questo avverbio si può tradurre con in seguito) dei versetti 6-7 (v. Adolf von Harnack, Die Verklärungsgeschichte Jesu: der Bericht des Paulus (I. Kor. 15, 3 ff.) und die beiden Christusvisionen des Petrus, in Sitzungsberichte der Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, VII, Verlag der Akademie der Wissenschaften, Berlin 1922, pp. 62-80).

L'analisi lessicale ci dimostra agevolmente che il versetto 6 è opera di Paolo: in base alle attuali conoscenze è impossibile determinare con certezza se siamo di fronte a una creazione interamente originale di Paolo o a un versetto che testimonia di un'altra tradizione, forse solo orale, che Paolo si premura di riferire e magari di modificare e amplificare.

Indubbiamente l'avverbio “ἐπάνω” (“più di”) rappresenta un hapax legomenon paolino, vale a dire che, esaminando tutti gli scritti attribuiti a Paolo (il c.d. Corpus Paulinum), lo troviamo solo in questo versetto. Il vocabolo ἀδελφοί (fratelli”), invece, compare frequentemente in Paolo, come nel resto del Nuovo Testamento (da Paolo in poi il termine fratelli è usato comunemente nel NT per indicare gli altri cristiani, tranne che nelle Lettere di Giovanni, dove indica esclusivamente i membri della comunità giovannea: v. Raymond Edward Brown, The Epistles of John, Yale University Press, New Haven 1995, pp. 269-273), ma è solamente Paolo di Tarso ad associarlo all'espressione “οἱ πλείονες” (“la maggior parte”), plurale maschile dell'aggettivo comparativo “πλείων”: oltre che in questo versetto, troviamo quest'associazione anche in Fil 1, 14; Paolo usa quest'ultimo termine greco, variamente declinato, 7 volte nelle sue lettere (escludendo la Prima e la Seconda a Timoteo che non sono state redatte da lui) e sempre con lo stesso significato che ha nel versetto che stiamo esaminando. In questo versetto leggiamo anche la forma verbale “μένουσιν” (“rimangono” [in vita]: nella traduzione della Bibbia CEI 2008 troviamo “vive”, al singolare, perché οἱ πλείονες” è stato tradotto con “la maggior parte”): Paolo usa il verbo “μένω” 12 volte nelle sue epistole (escludendo sempre 1 e 2 Tm) e in Fil 1, 25 lo utilizza con un significato identico a quello che presenta nel versetto in esame. Al termine del versetto 6 incontriamo la voce verbale “ἐκοιμήθησαν” (“sono morti”), terza persona plurale dell'aoristo indicativo passivo del verbo “κοιμάω”, che troviamo, variamente coniugato, 9 volte nelle lettere di Paolo (6 in 1 Cor e 3 in 1 Ts), sempre con il significato metaforico di “morire”. In conclusione segnalo che la locuzione “ἕως ἄρτι” (“ancora”) appare altre 2 volte in questa Prima Lettera ai Corinzi (1 Cor 4, 13; 8, 7) e, con i lessemi invertiti (“ἄρτι ἕως”), si legge anche in 2 Ts 2, 7, ma la Seconda Lettera ai Tessalonicesi, come vi ho comunicato nel mio Post precedente “L’imminente ritorno del Signore Gesù”, è pseudoepigrafica.

Paolo di Tarso ha usato l'avverbio “ἐφάπαξ” (“in una sola volta”) nel tentativo di dimostrare che l'asserita apparizione “a più di cinquecento fratelli” è stata un'esperienza oggettiva; se avesse omesso questo avverbio, molti avrebbero potuto supporre che singoli individui (come, ad esempio,Cefa” e “Giacomo” o Paolo stesso) e piccoli gruppi (come, ad esempio, quello dei Dodici e quello di tutti gli apostoli) si fossero separatamente autoingannati: era molto più problematico per gli avversari di Paolo concepire che più di cinquecento persone contemporaneamente si fossero autoingannate. Poiché allora non erano note le attuali ricerche psicologiche sulle allucinazioni collettive (di cui alcuni studiosi negano l'esistenza e che, in ogni caso, sono molto rare), era difficile muovere un'obiezione di tal genere: peraltro io, di fronte a simili asserzioni, più che un'allucinazione o un'illusione, pavento un mendacio. A chi conosce l'inglese consiglio la lettura di un saggio di Richard Bentall, professore di psicologia clinica all'università di Sheffield: Richard P. Bentall, Hallucinatory Experiences, in Etzel Cardeña, Steven Jay Lynn and Stanley Krippner (a cura di), Varieties of Anomalous Experience: Examining the Scientific Evidence, 2nd Edition, American Psychological Association, Washington, D.C. 2014. Tenete, comunque, ben presente che le diagnosi psicologiche e psichiatriche (che godono di un valore scientifico assai discutibile) e, più in generale, la psicopatologia possono essere utilizzate (e di fatto lo sono spesso) per attaccare, screditare e a volte distruggere le idee e le persone sgradite.

Per essere ancora più convincente, Paolo soggiunge che “la maggior parte di essi vive ancora”, con la conseguenza implicita che potrebbe ancora testimoniare su ciò che vide, contraddicendo gli increduli.

Il versetto 6 non riferisce un fatto (vero o falso che sia) facente parte del credo pre-paolino tradizionale che leggiamo in 1 Cor 15, 3b-5 e che Paolo ha ricevuto da altri, ma costituisce un elemento redazionale inserito da Paolo stesso con l'intento apologetico di dimostrare che l'esperienza visiva del Risorto è stata indubitabilmente reale e che, quindi, anche le apparizioni antecedenti, riferite in 1 Cor 15, 5, sono reali.

Per difendere la “veridicità” delle apparizioni post-pasquali (“veridicità” nel senso che alcuni seguaci di Gesù avrebbero visto qualcuno che era realmente presente e che quel qualcuno era Cristo risorto in persona) e, dunque, della risurrezione di Gesù, Paolo di Tarso ha voluto aggiungere alla tradizione pre-paolina le ulteriori testimonianze dell'apparizione a più di cinquecento fratelli in una sola volta, di quella a Giacomo e a tutti gli apostoli e di quella a se stesso. Gli studiosi del NT si sono accorti che questa asserita apparizione a più di cinquecento persone mal si accorda con quanto Pietro, secondo gli Atti degli apostoli, dichiara, rivolgendosi al centurione Cornelio e a molti altri, in relazione a Gesù: 40[...] Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, 41non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti (At 10, 40-41. Bibbia CEI 2008).

Attualmente non tutti i ricercatori condividono l'opinione che l'intero versetto 6 non appartenga al credo tradizionale citato nel capitolo 15 della Prima Lettera ai Corinzi: John S. Kloppenborg, ad esempio, ritiene che anche il versetto 6a (“ἔπειτα ὤφθη ἐπάνω πεντακοσίοις ἀδελφοῖς ἐφάπαξ”) faccia parte della tradizione antecedente (v. John S. Kloppenborg, An Analysis of the Pre-Pauline Formula 1 Cor 15:3b-5 In Light of Some Recent Literature, in The Catholic Biblical Quarterly, Vol. 40, No. 3 (July 1978), Catholic Biblical Association of America, Washington, D.C. 1978, pp. 351-367) e David M. Moffitt scrive che i vv. 3b-7 sarebbero stati trasmessi a Paolo come un'unità preformata, alla quale egli avrebbe aggiunto solo il v. 6b (ἐξ ὧν οἱ πλείονες μένουσιν ἕως ἄρτι): v. David M. Moffitt, Affirming the Creed: The Extent of Paul's Citation of an Early Christian Formula in 1 Cor 15,3b-7, in Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft und die Kunde der Älteren Kirche, Vol. 99 (published in Print: 1 November 2007; published Online: 11 March 2008), Walter de Gruyter, Berlin 2007/2008, pp. 49-73.   

Non proseguo con le citazioni perché questo vuole rimanere un Post per tutti e non diventare un articolo per soli specialisti, anche se è necessario giustificare, nei limiti del possibile, ciò che si scrive e tenere conto di diverse interpretazioni per evitare di fare mere professioni di fede (ne sono state fatte fin troppe in ambito storiografico!). A questo punto appare evidente che le asserite apparizioni di Gesù risorto non possono essere accettate sic et simpliciter come eventi storici da parte di coloro che scelgono di studiare in maniera storicamente rigorosa il Nuovo Testamento.
 
 
 
Copyright © 2021 by Carlo Margutti. 
 

All rights reserved

 

 

13 giugno 2021

Cerca nel Blog