“The imminent return of the Lord Jesus”

† “The imminent return of the Lord Jesus” † The Blog deals with the Parousia announced as imminent in the New Testament but never occurred, other missed prophecies and more... The great Christian Promise has not been kept. The “truth” about Jesus and Christianity. This is a religious website.

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03 aprile 2022

Il segreto messianico nel vangelo secondo Marco † The Messianic Secret in the Gospel according to Mark

 

Abbiamo corretto lopera Tua e labbiamo fondata  
sul miracolo, sul mistero e sullautorità 
(Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov,  
Parte Seconda, Libro Quinto, Capitolo V.  
Il  Grande Inquisitore, trad. it. di A. Polledro, 
XVI ed., Mursia, Milano 1974, p. 284). 



Poiché un fedele evangelico che non si accontenta di una lettura superficiale della Bibbia e che erroneamente pensava fossi ateo (anche altri lettori di questo Blog si sono formati questa convinzione errata) mi ha interpellato in relazione al cosiddetto “segreto messianico”, ho deciso di scrivervi alcune righe sull'argomento. Prima di entrare nel merito ed esporvi alcuni risultati della mia attività di ricerca, vi informo che l'espressione “segreto messianico” (in tedesco Messiasgeheimnis”) si è imposta all'attenzione degli studiosi del Nuovo Testamento in seguito alla pubblicazione nel 1901 di un'opera divenuta a buon diritto molto famosa, scritta dal teologo Georg Friedrich Eduard William Wrede, che era docente all'università di Breslavia: William Wrede, Das Messiasgeheimnis in den Evangelien. Zugleich ein Beitrag zum Verständnis des Markusevangeliums, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1901.
 
 
Bartholomeus Breenbergh, Guarigione del sordomuto
Bartholomeus Breenbergh, Guarigione del sordomuto.

 
Nel vangelo secondo Marco leggiamo che Gesù ordina in maniera perentoria di non rivelare la sua identità di Messia e Figlio di Dio e i miracoli da lui compiuti ai demòni che caccia (Mc 1, 25. 34; 3, 12), ai malati guariti (Mc 1, 44; 8, 26), a coloro che potevano testimoniare sull'avvenuta guarigione (Mc 5, 43; 7, 36) e persino ai suoi discepoli (Mc 8, 30; 9, 9).

L'autore del vangelo secondo Marco scrive alla luce della fede nella risurrezione di Gesù (la fede pasquale, che si riflette retrospettivamente sui contenuti narrativi di tutti i vangeli), professata dalla sua comunità cristiana, che già non considerava più Gesù solo un maestro e un profeta, ma anche il Messia (“Χριστός”, Cristo, in greco) e il Figlio di Dio (in senso particolarmente forte e speciale: cfr. Mc 3, 11; 9, 7; Mt 11, 27; Gv 1, 18; 3, 18; nel NT questo titolo è sempre attribuito al Messia, tranne che in Lc 3, 38): è la creduta risurrezione che fa dell'uomo Gesù il Κύριος”, cioè il Signore(cfr. At 2, 36; Rm 1, 4; 10, 9; 14, 9; 1 Cor 12, 3; Fil 2, 11), come egli è chiamato frequentemente nei vangeli di Matteo, Luca e Giovanni. L'intento teologico di Marco è presentare Gesù come Messia, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo e suscitare nei lettori la fede in questo Gesù (nei vangeli troviamo molti testi in cui la fede appare intenzionalmente come il requisito indispensabile per ottenere i miracoli da parte di Gesù e altri in cui la fede costituisce una conseguenza dei miracoli descritti).

Dopo che la credenza nella risurrezione di Gesù si fu affermata, egli divenne per i cristiani il Messia atteso nella tradizione ebraica, ossia il più importante segno dell'arrivo degli ultimi tempi, degli ultimi giorni, che sarebbero dovuti culminare nel giorno del Signore (cfr. Eb 1, 1-2; 10, 25) e quindi nel compimento del regno di Dio su questa terra: un Messia sotto alcuni aspetti diverso da quello profetizzato nell'Antico Testamento (nel quale la speranza di un re messianicoscaturisce da quella di un regno in cui Dio stesso eserciti la sua sovranità in modo diretto, pieno e definitivo: cfr., fra i molti passi citabili, Es 15, 18; Salmi 47; 93; 97; 99; Is 24, 23; 52, 7; Sof 3, 15-17; Zc 14, 9), un Messia ucciso dai Romani mediante l'infamante supplizio della crocifissione, un Messia al contempo taumaturgo e profeta, che entro breve tempo, in qualità di Figlio dell'uomo, sarebbe tornato dal cielo sulle nubi come supremo giudice escatologico (v. il Post precedente “L’imminente ritorno del Signore Gesù”).

A tal proposito è molto illuminante l'ordine che Gesù, secondo il vangelo di Marco, avrebbe impartito agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, dopo la sua simbolica trasfigurazione (che fa proletticamente da contrappeso all'assenza di apparizioni post-pasquali di Gesù nella redazione originaria del vangelo di Marco: v. il Post Marco e il mito della tomba vuota di Gesù): “9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio delluomo fosse risorto dai morti” (Mc 9, 9. Bibbia CEI 2008; cfr. anche il parallelo Mt 17, 9, che si basa interamente su Marco). 
 
 
Raffaello Sanzio, Trasfigurazione
Raffaello Sanzio, Trasfigurazione.

Se Gesù avesse compiuto realmente i miracoli strepitosi (alcuni dei quali alludono a profezie contenute nel Libro di Isaia: cfr. Is 26, 19; 29, 17-19; 35, 5-10; 42, 7; 61, 1-2, profezie rievocate parzialmente in Mt 11, 4-6) che gli attribuiscono i vangeli (si pensi, ad esempio, al sensazionale miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci ― reminiscenza di episodi analoghi dell'AT e prefigurazione dell'Ultima Cena e del banchetto messianico , grazie al quale sarebbero stati sfamati circa 5.000 uomini, senza contare le donne e i bambini, e ne sarebbero avanzate ancora dodici ceste piene: v. Mc 6, 42-44; Mt 14, 20-21; Lc 9, 14-17; Gv 6, 10-13), avrebbe goduto di un consenso e un favore popolari di gran lunga maggiori di quelli che ottenne effettivamente e molte più persone avrebbero creduto in lui: ciò significa che i primi cristiani e gli evangelisti accrebbero il numero e l'importanza dei miracoli attribuiti a Gesù (cfr. Mc 8, 11-13; Mt 12, 39; 16, 4; Lc 11, 29; Gv 6, 30), allo scopo di esaltarne la figura e presentarlo come il Messia e il Figlio di Dio (nel senso speciale accennato sopra), titoli che il Gesù storico non si è mai attribuito (Mc 14, 61-62 costituisce un'evidente aggiunta redazionale, tesa a prefigurare l'imminente compimento, mai avvenuto, dell'escatologia sia vetero ― Mc 14, 62 è una citazione di Dn 7, 13 e Sal 110, 1 che neotestamentaria: v. ancora il mio Post “L’imminente ritorno del Signore Gesù”), ma che le primitive comunità cristiane gli tributarono, proiettando su di lui, anche se non gli si attagliava perfettamente, la figura del Mashìach(l'Untodel Signore, il Messia) ebraico, di cui avevano sentito parlare diffusamente sulla base delle profezie messianiche dell'AT (l'attesa messianica rappresenta una costante della tradizione ebraica: cfr. Talmud Bavli, Sanhedrin 99a) e in cui riponevano le loro speranze di liberazione, gioia e pace, in un tempo di oppressione e sofferenza per Israele (cfr. Gen 49, 10; Dn 9, 24; Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, 6, 312; Publius Cornelius Tacitus, Historiae, V, 13). Per descrivere il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (secondo i vangeli di Marco e di Matteo, Gesù avrebbe compiuto questo miracolo addirittura due volte), il redattore del vangelo secondo Marco (da cui gli altri vangeli canonici traggono quest'episodio) prese a modello il miracolo narrato in 2 Re 4, 42-44, che vede come protagonista il profeta Eliseo. 

Al fine di giustificare la reazione invero non proporzionata dei contemporanei di Gesù ai clamorosi miracoli descritti nel vangelo (come la risurrezione della figlia di Giairo, le guarigioni portentose, i numerosi esorcismi e i miracoli sulla natura, di cui fa parte la suddetta moltiplicazione dei pani e dei pesci) e il fatto che Gesù non fosse stato considerato come Messia d'Israele e Figlio di Dio durante la sua vita, ma, anzi, in realtà, fosse morto ignominiosamente senza essere riconosciuto come tale dal suo popolo, Marco decise di scrivere (forse sulla scorta di qualche sua fonte) che Gesù fece di tutto affinché non si diffondesse la notizia dei suoi miracoli (presentati dai vangeli come segni dell'avvento del regno di Dio), imponendo il silenzio a coloro che ne erano a conoscenza. Il vangelo secondo Matteo, che, come quello di Luca, mutua dal vangelo di Marco il tema del segreto messianico, indica infondatamente in Is 42, 1-4 la giustificazione del silenzio sulle guarigioni che sarebbe stato imposto da Gesù (v. Mt 12, 15-21), quantunque questi versetti del Deutero-Isaia non si riferiscano assolutamente al segreto messianico, ma alla mitezza e alla nonviolenza, generate da un sensibile rispetto per gli altri, del servo di Yahweh, che, nell'apparente debolezza, rivela una grande forza. Fra l'altro, Gesù, stando al citato vangelo di Matteo e a quello di Luca, in alcuni episodi si contraddice, violando il segreto messianico: lo fa palesemente in Mt 11, 2-6 e Lc 4, 16-21.

Se Gesù fosse davvero entrato trionfalmente a Gerusalemme, acclamato come re d'Israele (v. Lc 19, 37-38; Gv 12, 12-13 e cfr. Mt 21, 9-11; Mc 11, 9-10), sarebbe stato immediatamente arrestato (v. il Post “Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele”).

Riguardo alla summenzionata Ultima Cena e alla sua relazione con il banchetto messianico, è utile sapere che, agli inizi del cristianesimo, la preghiera eucaristica consisteva in un semplice rendimento di grazie, compiuto durante un pasto in comune fra cristiani (in cui capitava che uno avesse fame e l'altro fosse ubriaco: v. 1 Cor 11, 21), per il dono della salvezza, che essi identificavano con la partecipazione al promesso regno di Dio, atteso come imminente: si credeva che, in occasione di tale pasto, Gesù si rendesse presente in spirito, dopo l'invocazione dei fedeli, e che la cena fosse sacra, perché i suoi elementi erano consacrati per effetto della suddetta preghiera di ringraziamento. In questa cena si commemorava la morte del Signore, “finché egli venga” (1 Cor 11, 26). La pretesa rivelazione (o tradizione) ricevuta da Paolo di Tarso (v. 1 Cor 11, 23) è stata da lui concepita nel quadro di un racconto dell'Ultima Cena condizionato dalla trepida attesa dell'adempimento della grande promessa escatologica, di cui è fatta esplicita menzione nelle parole già citate della Prima Lettera ai Corinzi: “26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga” (1 Cor 11, 26. Bibbia CEI 2008). La cena mistica sostituì, come funzione liturgica, il primitivo pasto in comune, in cui consisteva la cena delle origini, tramutandolo in un mero atto liturgico, che, di per sé, non avrebbe richiesto tale richiamo alla parusia: esso è stato inserito perché imposto da una prassi ormai consolidata del rito eucaristico, nel quale la commemorazione della morte salvifica di Gesù, celebrata in comunione mistica con lui stesso, si fondeva con la tradizione, fatta propria dai sinottici, della cena come prefigurazione del banchetto degli eletti nel regno di Dio (cfr. Mt 26, 29; Mc 14, 25; Lc 22, 16. 18). La mancanza di ogni accenno all'agnello pasquale nei racconti dell'Ultima Cena, che leggiamo nei vangeli e nella Prima Lettera ai Corinzi, potrebbe essere dovuta all'influsso della suddetta prassi eucaristica, in cui si utilizzavano solo il pane e il vino, un cibo e una bevanda facilmente reperibili in ogni tempo, anche al di fuori di Israele. La dottrina della transustanziazione (la prima testimonianza certa dell'uso del lessema transubstantiatio”, transustanziazione”, risale a uno scritto della metà del XII secolo attribuito a Rolando Bandinelli, futuro papa Alessandro III) venne descritta, senza impiegare questo termine tecnico, per la prima volta in maniera chiara e sistematica, solamente in un trattato del IX secolo d.C., intitolato Liber de corpore et sanguine Domini, scritto da un monaco benedettino, Pascasio Radberto (circa 79o-865), che si contrapponeva alla concezione prevalente nei teologi suoi contemporanei, i quali reputavano simbolica (seppur reale) la presenza di Gesù Cristo nell'Eucaristia. Anche se la dottrina cattolica della transustanziazione appare più aderente alla lettera del testo biblico di quella luterana della consustanziazione, dobbiamo tenere presente che, come vi ho già comunicato, i racconti neotestamentari dell'Ultima Cena (comprese le parole dell'istituzione dell'Eucaristia) sono stati fortemente influenzati dalla forma della celebrazione eucaristica praticata nella Chiesa primitiva: per questo e per altri motivi di carattere generale non è possibile determinare con certezza le parole che Gesù pronunciò durante l'Ultima Cena. La concezione tomista della transustanziazione, approvata e definita dogmaticamente dalla XIII sessione del Concilio di Trento, poiché si fonda sull'obsoleta concezione ilemorfica proposta nel IV secolo a.C. dal filosofo Aristotele dei corpi naturali (che sarebbero sinoli di materia e forma, ovvero sostanze prime che fungono da sostrato ai c.d. accidenti), è incompatibile con le più solide acquisizioni della filosofia e della scienza moderne e contemporanee.
 
 
Caravaggio, Cena in Emmaus di Brera (Milano)
Caravaggio, Cena in Emmaus di Brera (Milano).

Talora Marco arriva al bizzarro paradosso di attribuire a Gesù due ordini in evidente contraddizione, come nell'episodio della guarigione del lebbroso (nel NT il sostantivo  λέπρα” e l'aggettivo λεπρός” indicano varie patologie dermatologiche), al quale Gesù, dopo avergli comandato di mantenere il più assoluto silenzio, ordina di presentarsi al sacerdote e di offrire l'offerta per la sua purificazione, come prescritto nel Levitico (si tratta di norme scaturite da esigenze più di purità rituale” che di tutela della salute pubblica: v. i capitoli 13-14 del Libro del Levitico, che, al tempo di Gesù, si credeva erroneamente fosse stato scritto da Mosè), a testimonianza per loro: “43E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito 44e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro»” (Mc 1, 43-44. Bibbia CEI 2008; v. anche Mt 8, 4; Lc 5, 14). Come poteva quest'uomo far accertare la sua guarigione dal sacerdote e rientrare nella sua comunità senza dire niente a nessuno?

Secondo il vangelo di Marco, persino le donne che sarebbero state testimoni della tomba vuota non dissero niente a nessuno, disubbidendo al giovane vestito di una veste bianca che aveva annunciato loro la risurrezione di Gesù (Mc 16, 8): v. ancora il mio Post Marco e il mito della tomba vuota di Gesù. In quest'episodio il silenzio è il risultato della disubbidienza a un ordine, anziché dell'obbedienza a esso.

Ricordo che diversi episodi narrati dai vangeli sono stati inventati per dimostrare che Gesù, in quanto Messia e Figlio di Dio, era dotato di poteri soprannaturali e che in lui si erano avverate alcune antiche profezie ebraiche: non sono, quindi, fatti storici ma espressioni di dottrine teologiche.

Per deliziarvi un poco, vi accenno il mirabolante miracolo della guarigione dell'indemoniato di Gerasa, raccontato, con alcune varianti, da tutti e tre i vangeli sinottici (Mc 5, 1-16; Lc 8, 26-35; Mt 8, 28-33: in Matteo gli indemoniati sono due, come due sono anche i ciechi a Betsaida e quelli a Gerico): quest'indemoniato sarebbe stato posseduto da moltissimi demòni, che, secondo il fantasioso racconto marciano, scongiurarono Gesù di mandarli nella numerosa mandria di porci che pascolava sul monte. Questa nutrita mandria, sempre secondo il vangelo di Marco, sarebbe stata composta da circa 2.000 maiali! In vari versetti della Bibbia il numero mille sta a indicare una quantità indefinitamente grande: v., ad esempio, 1 Re 3, 4; 11, 3 (in cui si racconta delle 700 mogli e delle 300 concubine del re Salomone); Sal 90, 4; 91, 7; Dn 5, 1; Ap 20, 1-8. Dopo che gli spiriti impuri furono entrati in loro, questi sventurati animali si sarebbero precipitati giù dalla rupe nel mare, dove affogarono miseramente. Marco si riferisce sicuramente al cosiddetto mare o lago di Galilea, denominato anche lago o mare di Tiberiade o di Gennèsaret, perché non esiste nessun altro specchio d'acqua nelle vicinanze: ebbene, questo lago distava in linea d'aria circa 53 chilometri da Gerasa! Vi immaginate 2.000 maiali indemoniati che dal monte si gettano in un lago distante ben 53 chilometri?! Non esiste nulla di più inverosimile! Il vangelo di Matteo sposta la scena di questo esorcismo a Gadara (dove, tuttavia, non è possibile rilevare alcun dirupo), città che si trova più vicina al suddetto lago, a poco meno di 10 chilometri, forse nella speranza di essere più plausibile, ma ogni persona di buon senso comprende che anche un balzo di circa 10 chilometri non rientra nelle possibilità di un branco di porci. Comunque un miracolo così plateale non sarebbe passato inosservato, anche se il segreto su di esso avrebbe potuto evitare l'allontamento di Gesù: pertanto, coerentemente, il vangelo di Marco racconta che i mandriani 14portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto (Mc 5, 14. Bibbia CEI 2008) e pregò Gesù di andarsene dal loro territorio (v. Mc 5, 17). Egli allora risalì sulla barca, per passare all'altra riva, e comandò al miracolato, che invano gli chiedeva di poter restare con lui: “19«Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mc 5, 19. Bibbia CEI 2008), contraddicendo apertamente gli ordini con cui il medesimo Gesù intimava di mantenere la più totale segretezza sui prodigi che lo vedevano protagonista. Quindi l'uomo guarito “20se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati (Mc 5, 20. Bibbia CEI 2008). Non ha fondamento argomentare che, in questo caso, Gesù decise di rendere pubblico il suo miracolo perché il territorio della Decapoli (in cui si situavano sia Gerasa che Gadara) era considerato un corpo estraneo alla cultura ebraica, in quanto abitato prevalentemente da persone di cultura ellenistica: infatti, in pieno territorio della Decàpoli, secondo lo stesso vangelo di Marco, Gesù ordinò ai testimoni della guarigione del sordomuto di non parlarne con nessuno (v. Mc 7, 31-37).

Il segreto messianico escogitato da Marco rappresenta un tentativo malriuscito (anche perché Marco, pur di enfatizzare a volte un'antistorica popolarità di Gesù, arriva a contraddirsi) di colmare il divario fra la fede pasquale nel Cristo risorto (ossia nel c.d. Cristo della Fede) e il Gesù storico, che concluse la sua vita, abbandonato da tutti, nella desolazione del Calvario (v. il Post precedente intitolato “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”), sovrapponendo ancora una volta la fede alla memoria storica.

Ad ogni modo è verosimile che Gesù non si sia limitato alla sola predicazione, ma abbia anche goduto di doti carismatiche che gli consentivano di compiere azioni fuori dell'ordinario, alcune delle quali potevano essere interpretate dai suoi contemporanei come guarigioni, esorcismi o miracoli di altro genere.

Per chi ancor oggi s'interroga criticamente sui miracoli nel cristianesimo, sono di sicuro interesse le considerazioni di Ludwig Andreas Feuerbach: Das Wunder ist ein wesentlicher Gegenstand des Christentums, wesentlicher Glaubensinhalt. Aber was ist das Wunder? Ein verwirklichter supranaturalistischer Wunsch [corsivo originale] – sonst nichts” (Ludwig Andreas Feuerbach, Das Wesen des Christentums, in Gesammelte Werke, Band 5, a cura di Werner Schuffenhauer, Akademie Verlag, Berlin 1967, p. 231), che significa: “Il miracolo è un oggetto essenziale del cristianesimo, un contenuto essenziale della fede. Ma che cos'è il miracolo? Un desiderio soprannaturale realizzato nient'altro”; poi il filosofo citato, alcune righe dopo, aggiunge: “Aber das Wunder unterscheidet sich dadurch von der natur- und vernunftgemäßen Befriedigungsweise menschlicher Wünsche und Bedürfnisse, daß es die Wünsche des Menschen auf eine dem Wesen des Wunsches entsprechende, auf die wünschenswerteste Weise [corsivi originali] befriedigt. Der Wunsch bindet sich an keine Schranke, kein Gesetz, keine Zeit” (ivi, p. 232), cioè: “Il miracolo, tuttavia, differisce dal modo naturale e razionale di soddisfare i desideri e i bisogni umani in quanto soddisfa i desideri dell'uomo in un modo corrispondente alla natura del desiderio, nel modo più desiderabile. Il desiderio non si lega a nessun limite, a nessuna legge, a nessun tempo(le trad. it. sono mie).

Poiché il vangelo di Marco presenta Gesù come “Cristo, Figlio di Dio” sin dal primo versetto (Mc 1, 1; cfr. Mc 1, 3. 11; il titolo Figlio di Dio nel testo greco υἱοῦ θεοῦ ―, che leggiamo nella trad. CEI 2008 di Mc 1, 1, manca completamente nel Codice Sinaitico di prima mano e nel Codex Koridethi, ma si legge nel Sinaitico corretto א1, nel Codice Vaticano, nel Codex Bezae Cantabrigiensis, nel Codex Washingtonianus e in altri manoscritti meno autorevoli; con l'aggiunta dell'art. det. τοῦ tra i 2 lessemi greci citati, si trova anche nel Codice Alessandrino), qualche studioso ha sostenuto che l'ipotesi del “segreto messianico” debba essere rifiutata, senza tenere in debita considerazione il fatto, ormai incontrovertibile, che il vangelo di Marco, così come gli altri vangeli, non è una biografia di Gesù in senso storiografico (Marco non racconta nulla sulla nascita e sui primi trent'anni di vita di Gesù; non menziona nemmeno il nome del padre e cita il nome della madre solo una volta, in Mc 6, 3), ma un testo di predicazione e di propaganda, che riflette la fede della comunità cristiana in cui visse l'autore, il quale espone in forma narrativa la sua concezione cristologica: i vangeli sono opere di teologia, non di storia.

Drasticamente Albert Schweitzer scrive: Il Gesù di Nazareth che comparve come Messia, annunciò letica del regno di Dio, fondò sulla terra il regno dei cieli e morì per consacrare la sua opera, non è mai esistito” (Albert Schweitzer, Storia della ricerca sulla vita di Gesù, a cura di F. Coppellotti, Paideia, Brescia 1986, p. 744): queste parole non significano che lo Schweitzer non credesse all'esistenza storica di Gesù, ma evidenziano il suo rifiuto delle rappresentazioni di Gesù in auge ai suoi tempi, che, pur essendo fondate sul NT, non rispecchiavano la verità storica.

Non ritengo necessario prendere in esame l'esegesi del testo marciano proposta da Mariano Herranz Marco e da alcuni suoi discepoli, perché è assai arduo e aleatorio ricostruire le possibili tradizioni aramaiche antecedenti, che sarebbero alla base di alcune parti del vangelo di Marco, e soprattutto perché l'esistenza di un originale aramaico del vangelo di Marco, scritto in Palestina pochissimi anni dopo la morte di Gesù, non è ― come ritiene ragionevolmente la maggioranza dei biblisti ― sufficientemente provata.

 
 

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