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José Ferreira Thedim, Prima statua di Nostra Signora di Fatima. |
Il messaggio di Fatima, a causa della sua notevole rilevanza ecclesiale e del suo importante influsso sulla coscienza dei credenti, non può essere circoscritto a una dimensione puramente privata della fede né ridotto al novero delle ordinarie manifestazioni di pietà popolare che storicamente hanno costellato la tradizione cattolica. Esso tocca direttamente cruciali questioni teologiche, soprattutto di natura escatologica e pastorale, che interpellano tanto il Magistero della Chiesa quanto il sensus fidei di ogni fedele cattolico e richiedono un discernimento attento e rigoroso.
Pur conoscendo, per esperienze personali (ad esempio, in passato è capitato anche a me e ad alcuni miei parenti di essere sostituiti, contro la nostra volontà, da persone somiglianti), la notevole capacità d'inganno degli esseri umani, ritengo che non sia ancora sufficientemente provata la suggestiva ipotesi secondo cui la vera suor Lucia dos Santos sarebbe stata sostituita stabilmente, per un lungo periodo, da un'impostora che fingeva di essere lei, quantunque sia possibile ― considerati alcuni comportamenti e dichiarazioni anomali attribuiti a questa veggente ― che, in alcuni casi, sia stata realmente sostituita da un'altra persona.
Le narrazioni legate agli eventi di Fatima, in particolare quelle affidate alla memoria della suddetta suor Lucia (v. Suor Maria Lucia di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria, op. cit., passim: si tratta per lo più dell'elaborazione memoriale di vissuti infantili, significativamente influenzata dalle esperienze spirituali maturate da Lucia durante la permanenza in convento), riflettono un ambiente spirituale segnato da una religiosità intensamente emotiva, talvolta esasperata fino all'eccesso, nutrita da un indottrinamento sistematico, da suggestioni di massa, da pratiche ascetiche sproporzionate ed estreme (come genuflessioni molto prolungate, estenuanti digiuni, fustigazioni con le ortiche, pezzi di corda usati come cilici e altre crudeli automortificazioni), da una concezione fortemente ansiogena del peccato e dalla paura del comunismo ateo e materialista. Tale contesto favorì l'emergere di contenuti visivi e dottrinali che palesano più una costruzione antropologica e culturale che una genuina rivelazione divina.
È importante rilevare come l'immaginazione dei fanciulli veggenti (che si influenzavano reciprocamente) sia stata profondamente condizionata da elementi iconografici e catechetici tipici della devozione popolare (si pensi, ad esempio, alle rappresentazioni, allora in auge, dell'Inferno, degli angeli, della Madonna e dei Sacri Cuori, alla consuetudine delle corone di rose, alla venerazione per il Santo Padre ― che sarebbe apparso prima alla sola Giacinta e poi a tutti e tre i veggenti ― e ai proponimenti di espiare i peccati altrui, sacrificandosi per la conversione e la salvezza dei peccatori), nonché dalla difficile situazione ecclesiale in Portogallo, letta, in chiave demonologica, come conseguenza dell'assalto di Satana alla Chiesa. È teologicamente lecito domandarsi se le visioni escatologiche dei veggenti di Fatima, cariche di immagini dell'Inferno e di tormenti eterni, non siano state generate ― almeno in parte ― da un processo di interiorizzazione di siffatte suggestioni esterne.
Il giudizio teologico su tali dinamiche non può prescindere da una loro attenta valutazione alla luce della Rivelazione pubblica. Il Concilio Vaticano II afferma con chiarezza che la Rivelazione divina si è compiuta definitivamente in Cristo: “L’economia cristiana dunque, in quanto è l’Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun’altra Rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo” (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 4). Il ruolo di ogni rivelazione privata, anche quando riconosciuta come degna di fede, “non è quello di «migliorare» o «completare» la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 67), quindi di condurre alla Rivelazione di Cristo, senza sostituirsi al vangelo.
La centralità della misericordia di Dio, così luminosa nella Scrittura, appare invece offuscata in alcune espressioni del messaggio di Fatima, in cui si fa riferimento a un Dio che infligge pene terribili per peccati non menzionati espressamente dalla Sacra Scrittura (ad esempio, per quelli contro il Cuore Immacolato di Maria) e che addirittura subordina la salvezza di anime al numero e all'intensità dei sacrifici offerti da tre fanciulli. A tal proposito, non si possono minimizzare alcune parole fondanti della Rivelazione biblica: “Misericordia io voglio e non sacrifici” (Mt 9, 13; 12, 7. Bibbia CEI 2008, di cui mi sono avvalso anche per le successive citazioni bibliche; cfr. Os 6, 6); e ancora: “9Il Signore [...] non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2 Pt 3, 9). L'idea di una salvezza condizionata alla sofferenza volontaria dei piccoli appare teologicamente inadeguata, laddove il Nuovo Testamento ci rivela che “5[…] uno solo [è] il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1 Tm 2, 5) e che: “11È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2, 11; v. anche Tt 3, 4-7). “8Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; 9né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene” (Ef 2, 8-9): “16Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che ha misericordia” (Rm 9, 16; v. l'intero capitolo 9 di questa Lettera ai Romani e cfr. Es 33, 19; Sal 147, 10 ss.).
Il Dio della Bibbia dimostra il suo amore nei confronti degli uomini non a dispetto del loro peccato, ma proprio in quanto peccatori, affinché la sua grazia e la sua misericordia risplendano dove è abbondato il peccato (v. Mt 9, 11-13; 18, 12-14; Lc 18, 13-14; 19, 10; Gv 3, 17; 12, 47; Rm 3, 23-26; 5, 6-8. 19-21; 7, 18-19; 11, 32; Col 2, 13-14; 1 Tm 1, 15-16 e, nell'AT, almeno Is 49, 15; Os 11, 9).
La fede cristiana e cattolica non può essere vissuta come un'adesione emotiva o infantile a immagini fortemente suggestive, ma richiede un discernimento maturo, illuminato dalla Parola di Dio e dal Magistero. Il continuo appello a “diventare come bambini” ― se interpretato come regressione intellettiva ed emotiva piuttosto che come fiducia filiale in Dio ― può indurre, nelle persone più fragili e vulnerabili, forme di alienazione spirituale e psicologica, perché ne mina profondamente la capacità di resistenza. Il vangelo stesso, come il resto della Sacra Scrittura, pur esortando alla semplicità del cuore (cfr. Mt 10, 16; 11, 25; 18, 3; 19, 14; Mc 10, 15; Lc 10, 21; 17, 1-2), non disdegna l'uso della ragione, che è parte integrante dell'actus fidei (cfr. Sap 13, 1-9; Is 1, 18; Mt 16, 1-3; 22, 37; Mc 12, 30. 33; Lc 10, 27-28; Gv 10, 37-38; 20, 27; Rm 1, 19-20; 1 Pt 3, 15; Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 2, a. 9, co.).
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Jacinta de Jesus Marto. |
A coloro che sollevano simili obiezioni, viene spesso risposto che solo chi “si fa piccolo” può accedere al senso profondo del messaggio di Fatima: ma è la stessa Scrittura a precisare che “6[...] il Signore dà la sapienza, dalla sua bocca escono scienza e prudenza” (Pr 2, 6), e che la fede non annulla la ragione, ma la perfeziona (oltre ai luoghi citati al termine del capoverso precedente, cfr. anche Rm 1, 20 e 2 Cor 10, 5): papa Giovanni Paolo II ha ribadito che “la fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità” (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Fides et ratio, Proemio).
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